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 2016  luglio 26 Martedì calendario

Il problema dei sanderisti

Hanno fatto la prima vittima: il presidente del partito democratico Debbie Wassermann Schultz, cacciata dopo esser stata scoperta a favorire sfacciatamente e irregolarmente, come molti sospettavano, Hillary Clinton nelle primarie. Hanno ottenuto svolte a sinistra nei programmi, dal maggior impegno all’università gratuita ad aumenti del salario minimo. E il loro portabandiera, Bernie Sanders, ha lanciato ieri notte dal podio della Convention una crociata per fermare il “repubblicano” Donald Trump. Ma i suoi sanderisti non si accontentano affatto. La loro proclamata “rivoluzione politica” non si ferma al presidente del partito e neppure al senatore del Vermont: sono arrivati qui in massa, la città ne aspetta fino a 50.000, non solo come delegati ma in treno, in carovane e in auto alla spicciolata, da ogni angolo d’America.
Sono arrivati per protestare – con una lunga serie di manifestazioni dai titoli indicativi quali “O Bernie o niente” e “Disobbedienza civile alla Convention” – durante i quattro giorni, cominciando già domenica con una marcia carica di cartelli disegnati a mano e slogan improvvisati. Denunciano la corruzione della politica, chiedono riforme di trasparenza e un’agenda di vero cambiamento. Non si accontentano, insomma, di Clinton e della sua macchina di partito. Di più: minacciano di disertare le urne a novembre, di respingere appelli all’unità, di votare per candidati minori e, qualcuno, anche di essere sensibile a Trump. Se Clinton oggi cerca di accreditarsi al centro – con Tim Kaine vicepresidente e Michael Bloomberg tra gli oratori – è il fianco sinistro a rimanere vulnerabile, fatto di nuovi e vecchi ribelli, di giovani e lavoratori, del nuovo fenomeno d’una coalizione di indipendenti progressisti nata e cresciuta negli anni della presidenza Obama.
Brandy McShane è tra i sanderisti irriducibili. Cinquant’anni, avvocato specializzato in cause di adozione, è giunta da Springfield in Missouri con un gruppo che vede ragazzi di 18 anni e donne e uomini di 60. «Non voterò mai per Clinton – dice fermandosi un attimo dalle manifestazioni, dove ha contato delegazioni di 28 stati sotto un sole da 40 gradi – Neppure voterò per Trump, i repubblicani sono troppo a destra. Sono indipendente, in passato ho appoggiato Ronald Reagan, Bill Clinton e Barack Obama. Ma sono delusa e Hillary mi ha perso per la mancanza di trasparenza, lei e Kaine sono candidati “corporate” e io voterò per la verde Jill Stein. Bernie è autentico, ha integrità, è contro la guerra, per la sanità universale e il college gratuito. Hillary invece non manterrà mai le promesse. Noi vogliamo trasformare il partito: in Missouri, al Congresso statale, abbiamo approvato ben 18 mozioni, dall’abolizione dei super-delegati all’apertura di ogni primaria ai non iscritti, dall’energia pulita ai veterani». E racconta che hanno presentato un candidato a vicegovernatore – Winston Apple – alla guida d’un movimento battezzato “Populisti in azione”.
I sondaggi alludono alle difficoltà di Clinton nel conquistare il cuore e il voto delle schiere di sostenitori di Sanders che assediano Philadelphia: il 40% di loro nelle primarie si è qualificato come indipendente, una cruciale constituency dove il senatore ha travolto Hillary di 31 punti. E poco più della metà dei Sanderisti ha detto di essere pronto a eleggere Hillary.