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 2016  luglio 26 Martedì calendario

I voti al Tour de France di Gianni Mura

Via con i voti, in ordine sparso. Froome 9, Sagan 9, pimientos de Padròn 9, Bardet 9, Hinault 10,discesa da Andorra Arcalis 2, tartelette aux abricots 8, ristorante-pizzeria 120 di Andorra 8, Jean-René Bernaudeau 8, albicocche di Ardèche e Drome 9. Riassunto così sembra un gran Tour. No, ne ho visti molti migliori e qualcuno peggiore. Bisogna essere comprensivi. Per esempio, io a Quintana darei 5, rubricare alla voce “chi l’ha visto?”, ma è pur sempre sul terzo gradino del podio. E se do 5 a Quintana, come mi regolo con Nibali e Aru? Senza voto, potrei cavarmela così, ma rivedo le loro facce a Morzine. Umanissima, quasi serena quella di Nibali che confessa di aver avuto paura in discesa, proprio lui. Stravolta, senza espressione, quella di Aru. Nel ciclismo la cosa peggiore non è andare piano quando speravi di andare forte, ma andare piano quando i tuoi compagni sono sicuri che andrai forte e si fanno un mazzo così per nulla. Per questo il 6 a Nibali, che inseguirà a Rio la coda della sua stella, è normale, il 6 ad Aru un po’ largo, ma non tutto è da buttare, e il 6 a Quintana, ahimè, consequenziale.
FROOME 9 non perché ha vinto ma per come ha vinto, tra surreale e dadà. S’è umanizzato anche lui, per quanto consentono le regole di Sky. Ha fatto una strada lunga. Nessun vincitore del Tour ha mai parlato in swahili o avuto due pitoni per compagni di gioco. Quando si trasferì in Europa lo chiamavano Crash Froom perché cascava o andava a sbattere e in discesa sembrava una rana patetica. Bardet 9 per il rifiuto dell’oreillette. Bernaudeau, ds della Direct Energie, 8 perché ieri, su Libération, ha dato un’efficace definizione dell’oreillette: «È un regalo fatto ai corridori più stupidi». Anche Libé ha dedicato spazio a proposte per migliorare il Tour (squadre miste, ritorno alle nazionali, passi indietro sulla tecnologia). E ha ricordato che nel 2009, quando l’Uci aveva proposto una giornata senza oreillettes, la risposta del gruppo fu una specie di sciopero, mezza tappa ad andatura turistica. Se l’appiattimento e la rinuncia alla fantasia sono considerati diritti acquisiti, non c’è gran futuro per il ciclismo. Diventerà un barnum come il calcio, come ha detto Marc Madiot. Ma all’interno di questo ciclismo ci sono ciclisti come Bardet. E Sagan. Lo vivono in modo diverso. In 5 Tour Sagan ha portato 5 volte la maglia verde a Parigi. La prima volta aveva 22 anni. In questi 5 anni s’è piazzato 52 volte nei primi 10. In volata se la sbriga da solo, non ha bisogno di una squadra che gli faccia il treno. È sempre di buonumore. Con quel cognome, normale il titolo dell’Equipe di ieri: “Sagan, adieu tristesse”. Subito doppiato al mento da un “Yates, he can”, a proposito Yates 7,5. Non so chi abbia cominciato prima, tra Équipe e Gazzetta, coi giochi di parole. Toccasse mai a Repubblica, con Dipollina, Bartezzaghi e Bolognini garantisco la vittoria.
HINAULT 10, ultimo Tour, farà il nonno. Pativo per lui vedendogli fare il cerimoniere e l’aggiustamaglie, ma mi consolavo pensando a qualcuna delle sue tante imprese. Rimane in comitiva Guimard, suo ds ai tempi d’oro. E andiamo ad Andorra. Discesa da Arcalis, due ore per 15 km, ma questo è il meno. Migliaia di spettatori semicongelati, bagnati fradici (pioggia e grandine) hanno atteso per ore le navette che li riportassero a valle. Dalla sala-stampa distribuiti dolci, caffè, bevande, ma sarebbero servite coperte. Il giorno dopo, titolo in prima pagina del quotidiano di Andorra: “Perfetta organizzazione”. La sera prima, affannosa ricerca di locali aperti, alla ‘ndo cojo cojo. Pizzeria ristorante 120. Si entra disposti anche a un hamburger di muflone. Pimientos de Padròn, Galizia, sagra il primo sabato d’agosto, degustazioni gratuite. Sono come i friggirelli, ma più carnosi e buoni. Cinque piatti di pimientos (uno al posto del dessert) varrebbero il voto, che è dovuto anche al servizio di due calici di Champagne (non a carico dell’amministrazione, quindi non cominciate a scrivermi mail su quanto si scrocca). Serviti dalla bottiglia al tavolo, come si dovrebbe fare ovunque e come in tutta la Francia, dalla Normandia alla Savoia, nessuno ha fatto. In Savoia (Auberge Le Regent, a Sonnaz, poco fuori Chambery) ottime tartelette alle albicocche, di un’incollatura su quelle al rabarbaro. Musica: Jean Ferrat, Pia Colombo, ritorno Piaf, italiani non famosissimi. Due, in comune il gusto per le traduzioni: Boris Vian per Gerardo Balestrieri, Leonard Cohen per Claudio Sanfilippo. Balestrieri intitola il suo cd “Canzoni nascoste” e potrebbe valere anche per il Tour. All’interno, “Canzone nascosta” è invece la più scoperta, salgariana, carnale. Musica calda, l’aria di Venezia gli sta allargando l’ispirazione. Di Sanfilippo avevo già detto quando scrisse, in milanese, “Senzabrera”. Tutto in milanese “Ilzendelswing”, che non è una montagna svizzera ma lo zen dello swing. Ottima resa di “Famous blue raincoat”, ma la mia preferita è “Avril”, forse perché si rivolge alla sua donna chiamandola dolza mugnaga (dolce albicocca). O forse no, tout se tient.