la Repubblica, 26 luglio 2016
Come fare per proteggere veramente i nostri figli?
Come fare per proteggere veramente i nostri figli? Forse, solo esserci. Gli adulti dovrebbero imparare di nuovo a esserci per i ragazzi; esserci per difenderli e rassicurarli quando subiscono la violenza; esserci per proteggerli e ascoltarli quando vengono minacciati. E ispirare loro fiducia, non vergogna; sollievo, non sensi di colpa. Proprio perché adulti. E maturi. E saggi. E, in virtù dell’esperienza fatta e della vita vissuta, capaci per definizione di sbrogliare la matassa dei problemi in cui sprofonda un adolescente quando accade qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. Esserci. Senza che la colpa, la vergogna o la paura diventino un ostacolo insuperabile per quella ragazza violentata da un branco, filmata a sua insaputa, minacciata e terrorizzata.
“Mamma, e ora che succede?” “Papà, e ora che facciamo?”. Domande che dovrebbero essere la trama di un discorso ininterrotto tra un “io” adolescente che chiede e un “tu” adulto capace di ascolto e di risposta. A meno di non aggiungere dolore al dolore già esistente. Una colpa che si somma alla vergogna; una vergogna che si somma alla paura; una paura che si somma alla sfiducia. Anche se la colpa non esiste: “Non è colpa tua, tesoro, se quel ragazzo ti ha ingannato; lo amavi e ti ha minacciato; ti fidavi e ti ha tradito”. Esattamente come la vergogna. “È lui che si dovrebbe vergognare, tesoro; sono loro che non hanno capito nulla della vita e dell’amore, della voglia di scoprire un’altra persona e della paura di non essere all’altezza dei propri sentimenti”.
Ma chi tra gli adulti, oggi, è veramente capace di ascoltare e di rispondere – quell’ascolto che spiazza, perché rimette in discussione tutto; quelle risposte che talvolta mancano, ma almeno si cercano le parole per dare un senso a ciò che non lo ha più? Chi, oggi, è capace di assumersi sul serio la responsabilità di accogliere quelle parole che disturbano – perché disturba sentire una figlia parlare di sesso, anche se il sesso ormai le adolescenti lo scoprono presto; lo vivono, e talvolta va tutto bene; lo subiscono, e allora va male, fa male, fa tanto male papà, e ora che penserà la gente?
Talvolta i segni del disagio ci sono tutti, ma i genitori aspettano, arrancano, negano. Pensano che certe cose accadono solo a chi se le va a cercare, e si dimenticano di quando erano stati loro stessi adolescenti e le cose accadevano anche quando nessuno se le andava a cercare. E poi allora, forse, era più facile. Non c’erano i cellulari, non c’erano i video, non c’erano i social network, non c’era WhatsApp. E il dolore di uno stupro, anche se non passava perché certe cose non passano mai veramente, non diventava immagini alla mercé di chiunque per riprodurre all’infinito la vergogna e la colpa.
Talvolta il disagio c’è tutto, ma gli adolescenti pensano che sia meglio aspettare, nascondere, negare. Non si fidano. E forse hanno ragione a non fidarsi. Visto che i genitori sembrano non avere il coraggio di avere coraggio. Il problema non è il sesso. Non è mai il sesso ad essere un problema quando è cercato, voluto, desiderato. I genitori dovrebbero dirlo e raccontarlo e far capire che l’amore e i sentimenti fanno parte della vita. Il problema è la violenza del sesso rubato e ricattato. Quella violenza che una quindicenne ha dovuto subire più volte, e non poterne proprio più, prima di trovare la forza di parlarne. Ma se non ne parlano con gli adulti, come fanno i ragazzi a trovare il bandolo della matassa? “Perché, no, tesoro, non devi né vergognarti né aver paura”, dovrebbero imparare a dire di nuovo gli adulti. “Ora ci sono la mamma e il papà che pensano a tutto”. Esserci, appunto. Per denunciare pubblicamente e consolare a casa.