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 2016  luglio 26 Martedì calendario

Roberto Mancini è appeso a un filo

È New York il nobile palcoscenico dove forse finirà questo grottesco show. L’Inter ci è sbarcata nella mattina americana di ieri proveniente dalla costa ovest dove domenica notte ha perso 3-1 a Eugene contro il Psg (pari temporaneo su rigore di Jovetic e due erroracci decisivi di Handanovic). Sei ore di viaggio che hanno fiaccato la truppa e hanno indotto Mancini a cancellare l’allenamento delle 10: giornata libera, si torna a lavorare oggi.
La decisione ha alimentato l’ennesimo giallo e la società si è affrettata a spiegare che la scelta era già stata presa prima della partita. Il sospetto nasceva però da ciò che era accaduto a Eugene quando durante il match, da più fonti, si è sparsa la voce che le dimissioni di Mancini fossero imminenti, pronte da annunciare addirittura nel dopopartita. Non è accaduto, ma non è che le poche parole del tecnico abbiano rasserenato il clima: «La situazione è come due giorni fa, vediamo cosa succede...».
Già, ma com’è la situazione? Da un lato, la società dice: Mancini è il nostro allenatore, non lo licenzieremo mai, né intendiamo transare (come pare Mancini abbia chiesto a Thohir nell’ultimo incontro). Posizione di principio e di sostanza, perché liquidare il tecnico e il suo staff costerebbe 11/12 milioni. Un salasso.
Dall’altro lato del ring c’è il Mancio, sempre più stufo e sfibrato. «Sono stanco» ha detto sbarcando a NY. Si riferiva al viaggio, ma è anche una buona didascalia alla foto del suo animo. Di quello che desidera non vede niente: acquisti forti, progetti a lungo termine, interlocutori sicuri, il rinnovo del contratto. L’ingaggio dell’amico Gregucci come vice è un palliativo, l’eventuale arrivo di Candreva un contentino. Ma qui è chiaro che gli Yaya Touré non arriveranno e che il fair play finanziario è l’unico motore che, per forza di cose, muove oggi le scelte di Suning.
Il Mancio, insomma, è in un cul-de-sac sempre più solo e a fargli compagnia c’è appena il cerino che ha in mano: o si dimette e rinuncia ai 4,5 netti dell’ultimo anno di contratto oppure accetta di restare indebolito e demotivato, con tutti i danni del caso sulla stagione che sta per partire. Dunque, beau geste o k.o. politico? Mesi fa il tecnico aveva detto di potere anche restare a casa senza i soldi dell’Inter: arriverà a tanto? Oppure nell’imminente incontro a NY con i vertici Suning – guidati dal gran capo Zhang Jindong per gli Stati generali del club – si troverà una mediazione in extremis? Nella Grande Mela è arrivato anche il ds Ausilio. Dentro un management impegnato anche a posizionarsi per il futuro, sembra l’ultimo a poter provare di ricomporre la frattura, ma sarà un’impresa.
Così, puntualmente, circolano adesso i nomi del possibile sostituto di Mancini e nell’Inter a mille teste – una strana creatura che il nuovo corso non ha ancora permesso di identificare – ognuno ha un cavallo da giocare. Uomini Suning hanno contattato Villas-Boas che però intende stare fermo. Leonardo è un nome sempre caldo; morattiano, si dice, ma fino a un certo punto, e intanto l’ex presidente ha commentato la situazione così: «Dimissioni di Mancini? Sinceramente io sono l’ultimo che sa le cose». Prandelli è un altro contatto tramontato del Suning. Bielsa è un pallino di Javier Zanetti che però punta altrove: «Mancini al momento è il nostro allenatore, in futuro immagino che Simeone e l’Inter torneranno a incontrarsi», ha detto il vicepresidente, aggiungendo confusione e motivi di irritazione per il Mancio. E poi c’è l’olandese Frank de Boer, la grande fiche, rischiosa, di Thohir. In pole c’è lui, ma in panchina c’è il Mancio. Per quanto ancora, mai come stavolta, lo sa solo lui.