Corriere della Sera, 26 luglio 2016
La trattativa al buio sui crediti di Mps
Mai un’operazione finanziaria aveva unito tanta incertezza e complessità tecnica in Italia, con tante contraddizioni nelle richieste delle istituzioni europee. Il cantiere del risanamento del Monte dei Paschi di Siena sta entrando nella stretta finale con un evidente ritardo nella definizione di qualche dettaglio essenziali, e con un approccio dei regolatori in Europa dal quale emerge soprattutto una cronica assenza di leadership.
I contenuti tecnici non sono il problema più piccolo, fra quelli ancora da risolvere. In questi giorni un primo aspetto del confronto in Italia sul futuro di Mps riguarda il piano di cessione di circa dieci miliardi netti di crediti, tutti a rischio più o meno grave di default. L’acquirente delle parti più rischiose oggi in vendita è il fondo Atlante, creato su iniziativa del governo ma interamente finanziato da privati. Fissare il prezzo di quelle vendite è ovviamente vitale per Mps: più i prezzi saranno alti, minore sarà la perdita e dunque la successiva esigenza di capitale per la banca di Siena. Anche il prezzo di vendita dei crediti difficili di qualità migliore, permessa grazie all’intervento di JpMorgan in vista di una cessione successiva sotto forma di pacchetti di titoli, dipende dai parametri della transazione di Atlante.
Quell’operazione andrà chiusa prima di venerdì, ma si sta rivelando piena di ostacoli e non solo perché Mps chiede un prezzo più alto mentre Atlante spinge in direzione opposta. In condizioni normali, questi pacchetti di crediti in vendita vengono valutati grazie ai loro rating, ossia ai giudizi di solidità dei debitori sottostanti. A maggior ragione le agenzie di rating hanno un ruolo essenziale nel valutare gli impieghi problematici di Mps che JpMorgan intende mettere poi sul mercato. È per questo che di solito anche un’operazione molto più piccola di quella in corso su Montepaschi richiede un esame lungo mesi su ciascun credito, per capirne il vero valore e fissare un prezzo accettabile sia al compratore che al venditore.
Nel caso di Monte dei Paschi, niente di tutto questo è possibile. Non lo è perché la banca ha aspettato l’ultimo momento prima di avviare le cessioni. Adesso per Atlante spendere 1,7 miliardi di euro comprando debiti in parziale default senza disporre di un giudizio di solidità, significa accettare un salto nel buio. In una normale dinamica di mercato, questa carenza di informazioni deprimerebbe i prezzi della transazione. Questa però non è una situazione normale: un prezzo troppo basso per quei crediti rischia di aprire nuove perdite per Mps e portare la Banca centrale europea a imporre una ricapitalizzazione insostenibilmente forte per la banca. Dunque fra Siena, Atlante e JpMorgan si negozia al buio, con l’obiettivo di chiudere nei prossimi due giorni senza conoscere bene le conseguenze di un accordo.
Quell’intesa è destinata ad atterrare sul tavolo del Consiglio unico di sorveglianza della Bce, se possibile già giovedì o venerdì. Non tutti in quell’organismo, separato e autonomo dalla politica monetaria guidata da Mario Draghi, potranno vantare di aver seguito fin qui un approccio lineare. Sulla base di un ipotetico scenario di recessione futura contenuto in uno «stress test», la Bce sta per imporre a Montepaschi di rafforzare in fretta il proprio patrimonio dopo aver già imposto alla banca 8 miliardi di aumenti di capitale e aver convalidato i suoi livelli di robustezza ben due volte: nell’«esame approfondito» (Aqr) del 2014 e nella revisione (Srep) del 2015. Ora il cambio di rotta improvviso.
Nel frattempo però la Commissione Ue impone vincoli sull’intervento pubblico che scoraggiano gli investitori privati e rendono molto più difficile proprio la ricapitalizzazione di Mps chiesta da Francoforte. Così ciascun organismo Ue segue una propria logica interna anche se è incompatibile con quella delle alte burocrazie dell’Unione: attraverso le istituzioni, un altro sintomo del vuoto di leadership che oggi paralizza l’Europa.