La Stampa, 26 luglio 2016
Il Califfo fa leva sul senso di colpa dei siriani fuggiti
L’Isis continua a perfezionare l’uso della propaganda per innescare i lupi solitari in Occidente e sfruttare al massimo l’effetto delle loro azioni sia per il reclutamento che per intimidire i Paesi della coalizione impegnata in Siria e Iraq. Anche la rivendicazione dell’attentato ad Ansbach, come quelle di Orlando, Nizza, Würzburg, si conclude con la precisazione che il «soldato del Califfato» ha voluto colpire una nazione impegnata nella guerra allo Stato islamico. Mentre il giuramento di fedeltà del terrorista siriano al Califfo Abu Bakr al-Baghdadi cita alla lettera gli appelli lanciati sul web a uccidere gli infedeli con ogni mezzo e «senza chiedere autorizzazioni o permessi» a nessuno.
La «campagna d’estate» degli islamisti ha come obiettivo quello di fermare in qualche modo i raid, ma in Germania vuole amplificare un’altra paura, quella per i rifugiati siriani e musulmani in generale. Gli attacchi di Ansbach e Würzburg, per quanto limitati nel numero delle vittime, colgono due risultati in uno. Il punto di partenza resta l’appello lanciato dal portavoce del Califfo, Mohammed al-Adnani nel settembre del 2014, subito l’inizio dei raid Usa in Iraq e Siria. È lì, in una polemica interna con Al-Qaeda, che viene specificato che gli attacchi possono essere spontanei senza chiedere un «parere religioso» o un’autorizzazione a un imam. E che i civili, anche musulmani, sono bersagli legittimi se cittadini di un Paese in guerra con il Califfato.
Nella sua «bayah» Mohammed Delel, rifugiato di 27 anni, specifica di «aver risposto all’appello» del Califfo e di aver agito senza «chiedere il permesso». Segno che la propaganda è penetrata fino nei dettagli nella mente di una persona senz’altro fragile, ma non per questo meno pericolosa. Ma forse, Delel ha reagito anche a un’altra propaganda, non ufficiale, che corre soprattutto sul canale Telegram. Sono continui attacchi ai rifugiati siriani, accusati di vigliaccheria, di tradimento, di apostasia. La loro colpa è quella di essere fuggiti dal Califfato invece di difenderlo con le armi e di aver trovato accoglienza in un Paese di infedeli. Un predicatore vicino all’Isis li ha minacciati in un video e ingiunto loro di versare una «tangente» di «almeno 20 mila dollari all’anno» se non tornano in patria.
Le minacce fanno il paio con gli appelli a compiere attentati. La base ideologica resta quella del discorso di Al-Adnani, in base al quale tutti i musulmani sono tenuti a emigrare nel Califfato per sostenerlo o, se impossibilitati, a combattere la jihad sul posto. La doppia pressione sui rifugiati siriani, ma anche afghani, sembra aver fatto breccia. Prima il profugo minorenne che a Würzburg ha preso a colpi di accetta i passeggeri di un treno, ora Ansbach. Se in Francia l’Isis sfrutta le frange radicalizzate dagli imam salafiti nella comunità maghrebina e i foreign fighter di ritorno, in Germania fa leva sulla disperazione e i sensi di colpa, per quanto assurdi, dei più deboli. Ma in questo modo è riuscito ad aprire un nuovo fronte in Europa.