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 2016  luglio 26 Martedì calendario

Il viaggio dei rifiuti da Nord a Sud durerà ancora molti anni

Alle 8 del mattino del 7 gennaio 2012, al molo 44 del porto di Napoli l’attracco della nave olandese Nordstream portò sollievo all’intera città. La nave avrebbe infatti trasportato all’inceneritore di Rotterdam qualcosa come 250mila tonnellate di rifiuti così liberando l’area vesuviana da un’emergenza che durava da anni.
Ma a che prezzo? Le indiscrezioni dell’epoca parlarono di 100 euro a tonnellata. In tutto un contratto da 25 milioni tra l’amministrazione comunale e la società olandese. Molti gridarono al successo: i 100 euro erano quasi la metà dei 173 a tonnellata pagati all’epoca per trasferire la stessa immondizia in Emilia o in Puglia.
Il turismo dei rifiuti, da allora, non si è certo fermato ed è un ottimo indicatore per misurare il tasso di inefficienza e di populismo della classe politica italiana. Risale ad appena due settimane fa un accordo tra le Regioni Puglia ed Emilia Romagna per portare da Sud a Nord 20mila tonnellate di rifiuti al costo di 192 euro a tonnellata. Di quel costo, 60 euro sono per il trasporto, 118 andranno agli inceneritori di Bologna e Ferrara che smaltiranno il rifiuto e altri 14 euro a tonnellata saranno destinati ai due Comuni che ospitano gli impianti.
Che cosa giustifica i lunghi viaggi dei rifiuti attraverso l’Italia? E chi ci guadagna? I casi più recenti sono quelli di Puglia e Sicilia. In ambedue le Regioni la chiusura di discariche, private delle autorizzazioni necessarie per problemi ambientali, ha fatto crescere il livello di allarme. «Non farò la fine di Bassolino», ha promesso il governatore pugliese, Michele Emiliano, evocando proprio l’emergenza rifiuti a Napoli nei primi anni Duemila. Se l’Emilia accoglierà (e si farà pagare) i rifiuti pugliesi, Toscana e Piemonte sono i candidati più probabili per trattare quelli siciliani.
Filippo Brandolini, romagnolo, presidente nazionale di Federambiente, l’associazione delle società che trattano i rifiuti, spiega che «in generale i problemi sono legati al fatto che nel Sud gli impianti di smaltimento sono meno numerosi che al Nord. Basta molto poco – aggiunge – perché il sistema vada in crisi. La scarsità di impianti è legata al fatto che spesso le amministrazioni locali preferiscono portare altrove i rifiuti, pagando, piuttosto che affrontare le proteste dei cittadini per la realizzazione degli impianti di smaltimento. L’emergenza maggiore oggi è quella dei rifiuti organici che derivano dalla raccolta differenziata. Un recente inconveniente proprio a un impianto pugliese ha finito per mettere in difficoltà l’intera rete italiana».
Ormai, sottolinea Federambiente, dei trenta milioni di tonnellate di rifiuti che ogni anno produce in media la Penisola, la parte maggiore, 13,5 milioni, proviene dalla raccolta differenzata. Dodici milioni di tonnellate finiscono invece in discarica. Gli inceneritori bruciano circa 5 milioni di tonnellate. Sono infine 300mila le tonnellate che ogni anno finiscono all’estero, anche partendo da Regioni del Nord: «Si tratta di un residuo secco che viene ridotto in coriandoli e diventa combustibile», spiega Brandolini.
Il sistema italiano è particolarmente frammentato. La raccolta e lo smaltimento sono affidati a 463 aziende sul territorio nazionale, ma a queste vanno aggiunti circa 1.000 Comuni che smaltiscono in proprio, su terreni talvolta demaniali ma spesso di proprietà di privati. La frammentazione è molto spinta, al punto che il 4 per cento delle 463 aziende realizza il 40 per cento del fatturato del settore.
Uno dei risultati della grande dispersione di aziende, anche qui soprattutto al Sud, è l’aumento dei costi a carico dei cittadini. Non solo perché gli oneri industriali aumentano, ma anche perché aziende con limitata capacità di trattamento finiscono per conferire nelle discariche o creare le condizioni per dover trasferire altrove i rifiuti, con un ulteriore aumento della spesa. Senza considerare l’effetto ricatto di quei privati che, proprietari di un terreno in un piccolo Comune, possono proporre tariffe fuori mercato sapendo che l’amministrazione non ha alternative. Così, nel 2015, la spesa media italiana per i rifuti in una famiglia di tre persone che vive in un appartamento di 80 metri quadrati è stata di 271 euro. Ma si tratta di una media. Perché la stessa famiglia al Nord ha speso 239 euro, al Centro 279 e al Sud addirittura 317. La strada per abbattere i costi dovrebbe essere quella della concentrazione delle aziende e di una migliore distribuzione geografica degli impianti alternativi alle discariche. Secondo i dati del rapporto Ispra, nel 2014, dei 44 inceneritori italiani, 29 erano al Nord, otto al centro e sette al Sud. Insomma, tutto fa pensare che il “turismo dei rifiuti” sia destinato a proseguire anche negli anni a venire.