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 2016  luglio 26 Martedì calendario

La chat dei golpisti turchi rivela che i militari ribelli erano tre reggimenti della Nato

Un colpo di Stato in chat non si era mai visto. Sarebbe facile definirlo un golpe da operetta, se non fosse per il dramma che si materializza nei messaggi degli ufficiali anti-Erdogan. Passano in poche ore dall’euforia alla disperazione: prima «baciano sugli occhi» i poliziotti che si schierano con loro; poi ordinano di «travolgere e incenerire la folla». La ricostruzione della notte che ha cambiato la Turchia e forse la storia del Mediterraneo è stata realizzata da Bellingcat, il più innovativo sito di giornalismo investigativo, analizzando il gruppo aperto su WhatsApp dai militari ribelli. «Pace in patria, pace nel mondo». Sono le prime parole del celebre proclama di Atatürk, il padre dell’Anatolia moderna. Alle 21.15 del 15 luglio questa frase viene scelta dal maggiore Murat Çelebioglu per intitolare il gruppo sul social network, destinato a coordinare le azioni dei golpisti nella metropoli di Istanbul. Vi partecipano due generali, undici colonnelli e una dozzina di ufficiali inferiori che fino al mattino si scambieranno appelli enfatici, ordini spietati e cercheranno di farsi coraggio l’un l’altro. Un diario shock, da cui emerge un dato fondamentale: i tre reggimenti che vanno all’assalto appartengono alla Forza di intervento rapido della Nato. Si tratta quindi di reparti abituati ad agire sotto comando americano nelle missioni internazionali, soprattutto in quella afgana dove i battaglioni turchi hanno un ruolo chiave. Per questo non sorprende che i giornali vicini al presidente Erdogan ora accusino proprio l’ultimo generale statunitense al vertice dell’operazione Nato a Kabul: John F. Campbell, un “berretto verde” in pensione da alcuni mesi. L’alto ufficiale ieri ha respinto le indiscrezioni: «Sono ridicole». Ma la tensione tra Ankara e Usa continua a ribollire. Al centro dei sospetti c’è la base di Incirlik, gestita insieme dai due paesi, da cui sono decollati gli aerei cisterna che hanno rifornito i jet golpisti. E adesso sta finendo nel mirino pure il quartier generale delle forze terrestri Nato di Smirne, attualmente affidato all’italiano Paolo Ruggiero: da domenica un gigantesco incendio doloso devasta i boschi intorno alla struttura atlantica. Nella chat non si fa mai riferimento agli americani. Il colpo di Stato parte alle 21.29 con queste parole: «La Sesta ha cominciato». Alle 21.45 inizia il blocco dei ponti sul Bosforo e viene distribuita la lista dei bersagli di Istanbul. Più volte si fa riferimento alla necessità di «informare Ankara». Nella capitale ottomana i golpisti sostengono di «essere in 20mila». In tutto il paese ci sono molti reparti che tentennano. Alcuni non si muoveranno, altri partiranno tardi, un paio strada facendo cambieranno bandiera. I ribelli danno senza sosta la caccia ai generaloni dello Stato maggiore, fedeli al presidente e indicati come «la testa del serpente». Per più di due ore tutto procede secondo i piani. Gli obiettivi designati sono occupati o tenuti sotto controllo dai tank. Ma quando Erdogan alle 00.26 lancia l’appello al popolo, la situazione precipita rapidamente. Il colonnello Sahin avvisa: «Le piazze vanno sgomberate in tutti i modi. Non esitate». I primi morti sono all’Accademia: «Ne abbiamo uccisi quattro che resistevano, va tutto bene». In meno di mezz’ora però si spara quasi ovunque. Il maggiore che assedia il governatorato ordina di «non esitare e fare fuoco sui civili» e scarica personalmente la pistola contro un funzionario. Alcuni postano foto, il maggiore Çelebioglu li invita a smettere: «Non servono». La risposta è un surreale emoticon sorridente. Entro le due in tutta la città i militari sono accerchiati dai cittadini. Il maggiore Karabekir intima: «Travolgeteli, inceneriteli. Nessun compromesso». Un corteo marcia verso i ponti del Bosforo. Il maggiore Aygar comunica di averne «abbattuti venti o trenta». Il generale Duzenli chatta: «trasmettere l’ordine di fare fuoco sulla folla. Quelli che sono sotto tiro si disperderanno». Le raffiche però non fermano i manifestanti. Neppure i golpisti desistono. Alle 3.38 ci sono nuovi reparti che irrompono nelle sedi governative. Da Ankara ripetono di «tirare sui civili», aggiungendo però: «Che Allah vi aiuti». In piazza Taksim i blindati della polizia lealista hanno circondato i soldati: «Amici resistete finché potete». Arriva un caccia F-16 che mette in fuga agenti e dimostranti. E l’ufficiale segnala: «Ora qui è calmo, ma quando ci sarà luce serve un elicottero». Un ufficiale dal Bosforo chiede: «Possiamo valutare un attacco aereo sul ponte due?». L’alba sorge su un paese in fiamme, tra cannonate e bombe. Ma il giorno mostra la sconfitta. Il maggiore Celebioglu, quello che aveva aperto la chat, avverte: «L’operazione è fallita, andate via». Il colonnello Dogan domanda: «Dobbiamo scappare?». «Scegliete voi. Noi non abbiamo ancora deciso. Fate quello che potete per restare vivi, comandante». Poco prima delle sette, è tutto finito.