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 2016  luglio 25 Lunedì calendario

Accusato di pedofilia, picchiato dalla polizia, rovinato dalle spese legali e infine assolto. L’assurda storia di omonimia che ha distrutto la vita di un uomo

Un banale scambio di persona, un errore al quale è stato posto rimedio quasi subito, con il risultato di avere rovinato la vita a un uomo. Può sembrare incredibile, ma la storia di Gavino Cherchi, operaio 48enne di Dervio (Lecco), è racchiusa in queste poche righe. Fino a tre anni fa Gavino era un uomo semplice, un operaio di quelli che si spaccano la schiena per mille euro o poco più, tutto casa, lavoro e famiglia. È bastata un’accusa infame per affossarlo: pedopornografia e violenza sessuale su minori, reati che solo a nominarli ti valgono la condanna sociale. Immaginate poi in un paesino di duemila anime. Solo che non era vero niente: i poliziotti della questura di Lecco cercavano sì Gavino Cherchi e sono andati a bussare alla sua porta. Ma il Gavino Cherchi accusato di quei reati era un altro, di due anni più anziano, residente in un paesino del sassarese, in Sardegna. Gli inquirenti hanno capito troppo tardi lo scambio di persone: intanto il Cherchi di Dervio era già stato fermato dalla polizia con tanto di blitz all’alba, interrogato, picchiato (denuncia lui), infamato agli occhi di un’intera comunità. Poi scagionato con una pacca sulle spalle.
«Ci scusi, anche noi sbagliamo». Finita lì? Macché. Per dimostrare lo scambio di persona Gavino Cherchi ha dovuto incaricare un avvocato che ora gli chiede di saldare 8mila euro di parcella. Lui i soldi non li ha e si è ritrovato con il pignoramento del quinto dello stipendio a partire da questo mese.
«Era una mattina all’alba, non ricordo neppure se il 22 o il 23 novembre 2013».
Comincia così, Gavino Cherchi, il suo racconto, ma non è una favola a lieto fine.
Che succede quel giorno?
«All’epoca vivevo con mio fratello. Si presentano a casa otto poliziotti della questura di Lecco. Entrano con le pistole in pugno, ma io ero già al lavoro, in azienda».
E lì la raggiungono.
«Già. Quindi tutti vedono il blitz a casa mia. Poi anche il mio titolare assiste alla scena del fermo. E sa com’è, il paesino è piccolo. Io ero incredulo, mi dicono in modo perentorio che devo seguirli in questura».
Lì di cosa la accusano?
«Cominciamo a dire cosa mi fanno».
Cosa?
«Mi hanno preso a legnate. Io, fino ai 45 anni, non avevo mai preso una sberla in vita mia. Le assicuro che l’impatto è devastante».
I poliziotti l’hanno picchiata ancora prima di spiegarle perché era lì?
«Mi dicevano: “Ammettilo, sei stato tu, confessa”. E giù botte».
Quanti erano?
«All’inizio c’erano due poliziotti in stanza, poi è entrato uno, il più cattivo. Ero seduto su una sedia con le rotelle. Uno mi teneva le mani da dietro, gli altri mi giravano sulla sedia e giù pugni secchi: nello stomaco, nei fianchi, nei reni. E continuavano: “Ammetti, sei stato tu”».
Per quanto sono andati avanti?
«Non ricordo, direi diversi minuti. Poi cominciano a parlare di una carta di credito, mi parlano di siti pedopornografici. Io non sapevo neanche cosa volesse dire pedopornografia. Ho una figlia avuta a 17 anni, sono già nonno, sono stato cresciuto con dei valori, pensi che non ho mai visto neanche un film porno».
Non è che i pedofili non siano papà e nonni.
«Sì, me ne rendo conto. Sta di fatto che sono caduto dalle nuvole, erano contestazioni assurde».
Cercavano Gavino Cherchi.
«Con accuse terribili: pedopornografia e violenza su una minorenne. Non avevo parole, ero terrorizzato. Il mio atteggiamento sembrava quasi colpevole perché ero basito, interdetto, non sapevo cosa dire».
Prosegua.
«Mi hanno preso le impronte digitali, mi hanno fatto le foto segnaletiche e dopo alcune ore mi hanno rispedito a casa».
Con accuse così gravi, perché non l’hanno trasferita in carcere?
«Vuole la verità? Secondo me hanno capito quasi subito che avevano fatto un errore. Mi hanno menato, hanno controllato i miei precedenti, hanno visto che ero pulito, hanno capito l’errore».
Quanto è rimasto indagato?
«Tre o quattro mesi. Ma nel frattempo ho dovuto cercarmi un avvocato. Sono andato da lui. Sa quanto ci ha messo a capire che era stato preso un abbaglio? Cinque minuti».
Cinque minuti?
«Ma certo. Cercavano un Gavino Cherchi che era domiciliato a Lecco, ma aveva la residenza in un paesino del sassarese. Ma bastava verificare la data di nascita».
Ma è incredibile.
«L’avvocato all’inizio era sospettoso: “Sei stato tu? Qui si parla di 9mila euro di spese con una carta di credito”. Poi controlla le date: il Gavino Cherchi che cercavano è nato nel febbraio 1971. “Quando sei nato?”, mi chiede. Io sono nato il 20 gennaio 1968. E l’avvocato mi fa: “Cazzo, hanno sbagliato persona”».
In cinque minuti.
«Già. Siamo andati alla polizia e il comandante ci dice: “Purtroppo anche noi sbagliamo”. In ogni caso qualcuno li avrà mandati da me».
Chi?
«Penso il magistrato che indagava».
Lei l’ha incontrato?
«Mai. Il mio avvocato mi ha detto che l’ha contattato e quello si è messo a ridere: “Chiudiamo la pratica”».
Una brutta odissea.
«Mi hanno rovinato la vita. Sono caduto in depressione, prendo psicofarmaci, sono ingrassato 25 chili in tre anni. Per fortuna mia moglie mi ha creduto. Ma in paese, sa...».
La gente mormora.
«Quando ti arrivano i poliziotti a casa all’alba, la gente cosa vuole che pensi? Mi hanno trattato come fossi Totò Riina. Pensavano tutti “chissà cosa avrà combinato, il Gavino”. Qualcuno parlava di droga».
Al bar del paese cosa dicevano?
«Mi chiedevano “Gavino, che cazzo è successo?”. Io mi rifiutavo di rispondere, poi ho iniziato a raccontare qualcosa. Ma l’accusa era di quelle infamanti, mi faceva stare male parlarne. Mi hanno distrutto».
Al lavoro come è andata?
«Grazie a Dio, ho un principale che mi vuole bene come se fossi suo figlio, quando avevo bisogno economicamente mi ha aiutato. Fosse stata un’altra ditta, avrei perso il lavoro».
La sua vicenda giudiziaria è finita?
«Tutt’altro. A quel punto è cominciata quella con l’avvocato».
Cioè?
«Mi ha fatto arrivare una parcella da ottomila euro».
Per cosa?
«Per fare due più due, scoprire l’errore e dirlo alla polizia. Ci ha messo cinque minuti, più un colloquio con la polizia».
Lei deve pagare l’avvocato.
«Non ho i soldi. L’avvocato ha fatto ricorso al giudice di pace e mi hanno boccato lo stipendio».
Le hanno pignorato lo stipendio?
«Esatto. Questo mese mi è stato bloccato del tutto. Mi è stato bloccato anche il tfr. Se volessi dimettermi, non avrei diritto neanche alla liquidazione. Dal mese prossimo, invece, mi verrà pignorato il quinto dello stipendio».
Quanto guadagna lei?
«Circa 1.350 euro. La mia seconda moglie, Angela Antoniette, americana di Orlando, è gravemente malata. Ha già superato due tumori e ora ne ha un terzo».
Gavino, lei cosa pensa dello Stato?
«Viviamo in un Paese strano, ma io ho sempre creduto nella giustizia, nello Stato. Questa cosa però mi ha distrutto. Si immedesimi un solo minuto in me, vorrei che tutti capissero cosa ho provato. C’è poi una cosa che mi fa soffrire terribilmente».
Quale?
«Il fatto che mio papà sia morto un anno fa di crepacuore senza poter leggere sui giornali la mia storia da innocente al 100%. Papà abitava vicino a me e mio fratello, ha visto l’irruzione dei poliziotti quella maledetta mattina in cui è iniziato tutto».
Ma pensa che sospettasse di lei?
«Quello mai, neanche per un secondo. Sapeva che figlio ero. Ma è morto per questo, ne sono certo».
Qualcuno la guarda ancora male?
«Sono convinto di sì. Anche se è saltata fuori la verità, molti pensano che ho combinato qualche cosa. Mi è rimasto il marchio addosso».
E ora?
«Voglio fare causa allo Stato. Per le percosse, per i tre anni in cui sono stato male. Mi hanno devastato la vita, sono vittima di un errore di Stato».
Il vero Gavino Cherchi, il criminale, che fine ha fatto?
«Mi hanno detto che è stato arrestato un anno e mezzo fa. Dovrebbe essere in carcere a Lecco, ma non ne voglio sapere nulla».