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 2016  luglio 11 Lunedì calendario

Tutti gli uomini, per natura, desiderano essere infelici

Potremmo essere felici di essere infelici, o infelici di essere felici. Di fatto, potremmo scoprire di non volere davvero quello che pensiamo di desiderare. Tutti gli uomini, per natura, desiderano essere infelici. Questa la tesi.
Certo, avviare una riflessione sulla felicità con quest’affermazione è come iniziare il primo allenamento di boxe con un montante al fianco. Essere consci e consapevoli, vedrete, è requisito fondamentale per la speculazione (surreale?) in cui ci stiamo addentrando.
IL CARDINE
La felicità, del resto, è lo storico, intrinseco ed immutabile cardine della nostra esistenza. È stato d’animo che si fa materia, è materia che si fa, o può farsi, stato d’animo. Hobbes ci ricorda che anche un figlio unico nasce inesorabilmente con un gemello: la paura. Così, alla pari, con meccanismi psicologici e tempistiche affini e differenti, la felicità è (e sarà) per ciascuno di noi una ragion d’essere, uno stato con cui confrontarsi. Più precisamente, cui aspirare, diremmo tutti. Se siamo qui, però, è per mettere in discussione proprio questo caposaldo della nostra cultura e delle nostre più scontate e comuni convinzioni. Non è facile crederlo, non facile aprirsi al livello tale da mettere in discussione il fatto che il nostro lavoro, le nostre relazioni, tutte le nostre azioni siano teleologicamente orientate al raggiungimento di un’unica, chiara ed inconfutabile condizione: l’infelicità.
Parola di Nerosfina, chiaro nom de plume, che in apertura del suo Infelici e contenti. Sull’arte di rovinarsi la vita (Castelvecchi), mette subito in discussione una tesi così radicata come quella comune sulla felicità, confutando esponenti autorevoli della teoria eudemonistica quali Seneca, Sant’Agostino e un atto come la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Tutti testimoni del fatto che l’uomo agisca per la propria felicità. E tutti fuori strada.
LE PROVE
I teorici del perseguimento della felicità non hanno prove concrete da esporre, sottolinea l’autore. A favore di questa nuova teoria dell’infelicità, invece, si possono portare, sorprendentemente, una serie di prove concrete che possono far riflettere. Quindi, si chiede l’autore, è normale secondo voi non scorgere segni di felicità sui volti di tutte le persone che incontriamo in fila al supermercato e nei contesti più vari? E quanti risponderebbero in modo affermativo e con entusiasmo alla domanda, semplice: «Sei felice?». È davvero possibile, allora, che questa moltitudine di persone alla ricerca ed alla rincorsa della felicità raggiungano invece una condizione che pare esserle così distante?
«L’uomo ha un talento straordinario: costruire la propria infelicità e inseguire per tutta la vita la pseudofelicità – è il commento del neurologo Rosario Sorrentino – ciò perchè a prevalere è il paradigma dell’ottuso consumatore, colui che ha come priorità assoluta il piacere e il possesso di cose effimere, vuote, che lo catapultano ad una solitudine non fisica ma mentale». E prosegue: «Questo paradigma rappresenta di fatto l’ideologia di un mondo globalizzato dove a prevalere sono dei valori fragili se non fasulli, legati all’esasperata competizione profitto e rendimento che collocano l’uomo nella dimensione della fragilità e della vulnerabilità perché viene meno quell’agorà, quel luogo, dove le persone scambiano e condividono proprie emozioni ed esperienze».
Dunque è il caso di riflettere sui nostri percorsi di vita improntati ad una presunta felicità ma spesso, di fatto, ad una materiale infelicità. Ed è significativo il fatto che sia stato scritto un vero e proprio manuale per l’infelicità come quello di Nerosfina in cui troviamo non solo spiegazioni, ma anche consigli pratici per l’uso, che aiutino a raggiungerla. Alcuni dei quali, se non si decodificasse la natura provocatoria di certe raccomandazioni, sembrerebbero contraddire ontologicamente tutto questo impianto teorico.
PERCORSI
Venendo alla pratica, si possono suddividere gli ingredienti dell’infelicità in due grandi famiglie: quelli che possiamo procurarci da soli e quelli che dipendono da altro o altri. Verrebbe da dire: occupiamoci del nostro, al resto ci pensa la Legge di Murphy. Comunque possiamo lavorare sulla nostra via per l’infelicità. A partire da un elemento base: i nostri pensieri, la colonna sonora della nostra vita. Un ruolo molto prezioso è giocato anche dai desideri. Dobbiamo lasciarli liberi, penseranno loro a condurci all’infelicità. E se qualcuno di essi dovesse malauguratamente realizzarsi, sicuro che sarà di breve durata. Soluzioni? Il manuale recita: «Datevi da fare per vivere in modo squilibrato». Se il senso comune vuole che la tavola ed il letto mantengono l’affetto, allora non mangiate insieme e non fate l’amore. Una figura esemplare da seguire per un’ottima infelicità? Rossella O’Hara.
IL MODELLO
Infatti, essendo l’infelicità direttamente proporzionale al fallimento delle relazioni, la protagonista di Via col vento è l’esempio migliore da seguire: le ha sbagliate tutte, proprio nell’ambito capace di produrre il maggior potenziale d’infelicità. L’amore. L’obiettivo è mettere i bastoni tra le ruote ad una relazione. C’è però un altro grande, potente, trucco per proseguire il cammino che il manuale ci indica: essere superficiali. Le uniche domande legittime sono quelle che è sufficiente googlare per riceverne esaustive risposte. Riflessioni sul senso della vita? Metafisica? Rischiano di condurre alla felicità, dice il manuale. Che forse è proprio l’obiettivo finale anche se per essere felici non è sufficiente utilizzare i consigli per l’infelicità al contrario.
La soluzione? È prima di tutto culturale, dice Sorrentino. «Ognuno deve puntare sulla cultura del noi e non su quella del più odiatodei pronomi, l’io, che rappresenta il liquido amniotico del narcisismo e della autoreferenzialità, i quali aprono ad una ideologia dove l’invidia rappresenta l’emozione di difesa e di attacco verso chi pensiamo migliore e superiore a noi stessi». Ridisegnare, dunque, il nostro perimetro culturale per avere come conseguenza una felicità il più possibile realistica.
Perché, in fondo, forse, semplicemente il ricercare in modo meccanico e con ansia la felicità, può essere il miglior modo per essere infelici.