Corriere della Sera, 2 luglio 2016
Cosa farà il Senato se passa la riforma
Esiste una logica nell’avere concesso l’immunità parlamentare ai consiglieri regionali e ai sindaci, scelti per diventare senatori, secondo la riforma costituzionale che saremo chiamati a votare ad ottobre? Se mi convincerà, e il tempo non manca, andrò a votare, altrimenti mi asterrò.
Carmen Bellavista
Torino
Cara Signora,
La tesi secondo cui la riforma costituzionale proposta dal governo abolisce il «bicameralismo perfetto» è vera soltanto in parte. Meglio sarebbe dire che la riforma crea fra le due Camere un rapporto gerarchico e attribuisce a quella dei deputati poteri maggiori. Il concorso del Senato è tuttora indispensabile per le riforme costituzionali e per le leggi sugli enti locali. La Camera alta riceve tutti i disegni di legge approvati dalla Camera e può chiedere di correggerli con le proprie modifiche; ma deve farlo entro precisi limiti di tempo, e il giudizio finale, sia pure con maggioranza assoluta, sarà sempre quello della Camera. Il Senato può prendere una iniziativa legislativa e, «con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti», può richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un proprio disegno di legge. In tale caso, la Camera procede all’esame e «si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato della Repubblica»; ma la sua decisione, in ultima analisi, prevarrà su quella del Senato.
Credo che questo spieghi perché la riforma non abbia voluto privare i senatori della immunità parlamentare. Se vi sono circostanze in cui in cui il loro voto è indispensabile, non è giusto che abbiano meno diritti dei loro colleghi della Camera. Il maggiore difetto della riforma, se mai, è un altro: quello di avere creato un sistema alquanto macchinoso che dovrà essere messo alla prova e avrà bisogno probabilmente di qualche correzione. Basta questo difetto a giustificare un «no» nel referendum del prossimo ottobre? La riforma, per quanto imperfetta, ha il merito di eliminare in buona parte i rischi derivanti dall’esistenza di due assemblee che hanno le stesse competenze, ma maggioranze diverse, e di lasciare alla Camera dei deputati il compito di prendere le decisioni che incidono sulle sorti del governo.
Non è tutto. Se la riforma non viene approvata, dopo almeno quattro tentativi falliti, il sentimento prevalente, il giorno dopo, sarà quello dell’impotenza e della rassegnazione.