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 2016  luglio 01 Venerdì calendario

Helen Mirren va alla guerra (con i droni)

Settant’anni portati con eleganza sexy: Dame Helen Mirren, londinese purosangue, Oscar nel 2007 per The Queen, torna sugli schermi col dramma di guerra e spionaggio Il diritto di uccidere, sull’uso dei droni nei conflitti (in Italia dal 25 agosto). L’attrice lavora instancabilmente: lo scorso anno ha calcato le scene del West End a Londra in un adattamento di Elizabeth II (è decisamente specializzata nella Regina che le ha conferito il titolo onorifico), mentre al cinema l’abbiamo vista di recente in Hitchcock (era Alma, la moglie del celebre regista) e Trumbo. La Mirren è sposata dal 1997 con il regista americano Taylor Hackford. In Il diritto di uccidere, diretto da Gavin Hood e prodotto da Colin Firth, Dame Mirren recita la colonella britannica Katherine Powell, che dopo aver inseguito per anni una connazionale divenuta terrorista, la rintraccia in Kenya con l’aiuto dei droni. Il suo dilemma è: ordinare un attacco – sempre coi droni – rischiando vittime innocenti? Il danno collaterale è moralmente accettabile pur nel contesto della lotta al terrorismo? «Pensiamo ai piccoli droni silenziosi come una mosca», dice la Mirren, al telefono dalla sua masseria in Puglia pochi giorni prima della partenza per New York e Atlanta, dove sarà impegnata nei prossimi mesi per le riprese del nuovo film di Paolo Virzì The leisure seeker accanto a Donald Sutherland. «La guerra di spionaggio si sta aprendo a nuove frontiere, immaginabili solo nei romanzi di Dan Brown. Ma quello che un tempo era solo fiction sta diventando realtà». Mirren ha da poco finito di girare Collateral beauty con Will Smith, storia dark e sofisticata imperniata intorno all’idea della bellezza che può emergere da situazioni molto scabrose. Come non bastasse, ha anche fatto un piccolo ruolo nel prossimo Fast & Furious 8.
Dame Mirren, “Il diritto di uccidere” ha già fatto discutere molto...
«È vero, ci sono state reazioni forti, nel senso positivo del termine. È un film che fa pensare. Credo tocchi nervi scoperti, ciascuno di noi si sente personalmente coinvolto. È una sorta di dramma legale dove gli spettatori sono la giuria. Ognuno avrà un’opinione, e in questo senso è un film che funziona».
Mostra le zone grigie della guerra.
«Esatto. I nostri militari affrontano decisioni difficili, e le devono prendere per di più in una frazione di secondo. Siamo noi che chiediamo loro di farlo. E spesso gli ufficiali in comando vengono criticati duramente, altre volte ricevono medaglie. E a volte è la stessa decisione che procura critiche o medaglie».
Come si è sentita nel ruolo di un militare?
«È stato curioso. Da giovane la sola idea del servizio militare era un incubo. Non riuscivo a immaginare niente di più orrendo. Ma ora so che ci sono tantissime giovani che sognano la vita militare. Come il mio personaggio nel film sentono il senso di appartenenza. Da attrice ho interpretato una donna- donna, femminile, che si realizza pienamente come militare. Ce ne sono tante così. Nel film il pubblico deve semplicemente accettarla così com’è. Per non parlare della gioia di essere pronta al mattino per la cinepresa in cinque minuti: niente trucco!».
Cosa ci dice del film di Virzì?
«È una commedia agrodolce, ma anche tragica. È la storia di due anziani che decidono di andare “on the road” per varie ragioni che non mi sento di rivelare. Un classico “road movie”, un genere che adoro. Sono una grande ammiratrice del cinema italiano, è un mondo di grandi artisti. Il cinema è parte del vostro dna. Ricordo che anni fa, in Italia, molta gente diceva che il cinema italiano era in crisi, che i film erano una schifezza. A me invece sembra che ci siano cose molto interessanti».
Conosceva i film di Virzì?
«Un paio, poi ovviamente mi sono andata a vedere tutta la sua filmografia. Notevole. Paolo parla della vita in modo molto umano, è spiritoso, spontaneo. Grande autore. Sa che non ci siamo ancora incontrati? Abbiamo parlato molto su Skype, questo sì. La bellezza dell’era digitale. Ci vedremo tra poco in America. Ci sarà anche Donald Sutherland. Che attore magnifico».
Come cittadina britannica cosa pensa della Brexit?
«Ero in Italia quando hanno votato, venivo da Israele. Vivo a New York. Insomma sono fuori dal mio paese da qualche tempo. Cose così spaccano in due un paese, e le due parti divise ora si guardano male senza capirsi a vicenda. Quelli che volevano lasciare l’Europa non avevano capito bene le conseguenze di quella decisione, forse era più informato chi ha votato per rimanere. Per me lasciare l’Europa equivale a una tragedia. Confesso che ancora spero di svegliarmi domattina per scoprire che è stato tutto un sogno. Anziché questo incubo».
Quindi lei sosteneva il “remain”?
«Ma certo! Spero che questo almeno funzioni da sveglia per la Gran Bretagna, ma anche per l’Italia, la Francia e gli altri paesi europei: mentre finisce l’era industriale e inizia l’era tecnologica un’intera generazione verrà lasciata indietro. Nessuno ci guadagna».
Sappiamo che lei è una collezionista d’arte. Ha scoperto qualche pittore di valore?
«Collezionista è esagerato, sono un’amante della pittura. Sono troppo tirchia per essere una collezionista! (ride, ndr) Insomma, non sono sufficientemente ricca per acquistare pezzi di valore. A me e a mio marito però piace scoprire artisti nuovi».
Dame Mirren, lei ha 70 anni eppure sembra sfidare la regola che dopo una certa età Hollywood rifiuta le donne.
«Funziona che superati i 50 anni devi accettare di non poter più recitare certi personaggi e accogliere tutto, insieme a un sano invecchiamento. Ci sono bei personaggi per tutte le età».