La Stampa, 1 luglio 2016
Sull’ipotesi di un patto del Nazareno bis
Utile, ma molto difficile, se non impossibile. L’ipotesi di un patto del Nazareno bis rilanciata su questo giornale da Fedele Confalonieri, nell’intervista con Luca Ubaldeschi, non è affatto fuori dalla realtà. Da persona accorta qual è, ma anche da amico più caro di Berlusconi, il presidente di Mediaset ne parla come di una sua idea personale, a cui l’ex Cavaliere non pensa proprio.
Ma non è il solo. Da giorni Claudio Cerasa, direttore del Foglio, giornale che ha nel suo Dna un quarto di nobiltà berlusconiana, si ostina a ripetere che non c’è altra strada per salvare le riforme istituzionali ed evitare che Renzi sia battuto al referendum di ottobre, se non recuperare lo spirito originario dell’accordo siglato il 18 gennaio 2014 (con l’opposizione della minoranza Pd, che veniva da vent’anni di duro antiberlusconismo) e durato un anno esatto, fino all’elezione di Mattarella il 31 gennaio del 2015, che Berlusconi considerò uno sgarbo personale e una presa in giro da parte del suo principale interlocutore.
Col senno di poi, era l’unico equilibrio possibile di una legislatura nata sciancata, senza alcuna maggioranza in Parlamento, e consentì, malgrado il ripensamento dell’ex Cavaliere, l’approvazione dell’Italicum e il primo passo del percorso accidentato con cui, dopo ben sei votazioni, è stata approvata la Grande Riforma. Perché allora, proprio adesso che è tornata a farsi largo l’instabilità, a causa dell’esito delle elezioni del 19 giugno e del successo dei 5 stelle, la ragionevole proposta Confalonieri è destinata a infrangersi contro la realtà? Per una serie di ostacoli complicati da superare, viene da rispondere.
Innanzitutto perché il Berlusconi del 2013, benché semiaffondato dalla magistratura, era molto più forte di adesso. Grazie al suo spirito indomabile, era stato il pivot della rielezione di Napolitano, al termine di due giri di votazioni in cui il centrosinistra aveva fatto fuori con i suoi franchi tiratori candidati del calibro di Marini e Prodi. Ed era ancora in sella, sebbene contestato, come capo del centrodestra, che dopo la sua decisione di rompere con Renzi si frantumò in tanti pezzi. Alfano infatti aveva già deciso di restare al governo con Letta, e poi con Renzi. Verdini si preparava a fare la terza gamba dell’esecutivo, Fitto fondava una sorta di partito regionale. Gli altri transfughi sparsi negoziavano al meglio i loro voti, provvedimento dopo provvedimento. Ma ciò che non era prevedibile era che gli stessi senatori di Forza Italia, guidati da Paolo Romani, inaugurassero un’opposizione morbida, fatta di assenze nei momenti decisivi, a differenza dei deputati, i quali, capeggiati da un più movimentista Renato Brunetta, si ritrovavano spesso a votare con i 5 stelle. Se ne ricava che se davvero Berlusconi decidesse di seguire la linea Confalonieri, nessuno sarebbe in grado di prevedere quale potrebbe essere il comportamento dei suoi parlamentari.
Analogamente Renzi non è più in grado di recuperare l’intesa con il Cavaliere. Buona parte del Pd, attraversato da desiderio di vendetta nei suoi confronti, ma diviso sul da farsi, troverebbe l’occasione per riunificarsi contro di lui. Alfano e i centristi, che già scalpitano, romperebbero con il governo per andare a occupare lo spazio di centrodestra lasciato libero dall’ex Cavaliere. Verdini avrebbe il vantaggio di non dover più scegliere tra Berlusconi e Renzi, ma i verdiniani, c’è da giurarlo, si muoverebbero in ordine sparso. E soprattutto i 5 stelle, ringalluzziti dalla recente vittoria elettorale, avrebbero un formidabile argomento per rafforzare la loro campagna contro il premier e il governo.
Altra cosa – e al dunque sembra la vera sostanza del pensiero di Confalonieri – sarebbe se Berlusconi, in considerazione della sua età, del suo stato di salute e delle responsabilità che ha ricoperto nelle istituzioni, decidesse per davvero, come dice da tempo, di comportarsi da padre della patria, e inaugurasse un periodo di opposizione responsabile, in cambio, non solo di un aggiustamento della legge elettorale (che tra l’altro gli conviene fino a un certo punto, dato che aiuterebbe più gli scissionisti del suo partito, che non Forza Italia), ma anche di una garanzia sulla durata della legislatura fino alla scadenza naturale. Questo sì, sarebbe un patto semplice e trasparente, che Renzi e l’ex Cavaliere potrebbero stipulare tranquillamente, dedicandosi, ciascuno dalla propria collocazione, a usare l’anno e mezzo, più o meno, che rimane, per affrontare i sempre più complicati problemi italiani. Nell’interesse del Paese, e sapendo che nel 2018 centrosinistra e centrodestra si contenderanno, insieme ai 5 stelle, la guida del prossimo governo.