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 2016  luglio 01 Venerdì calendario

Facciamo i seri, teniamoci stretto l’inglese

«English is about to lose its continental crown», l’inglese sta per perdere la corona continentale, scrive (in inglese) Nicholas Ostler (inglese) sul Financial Times (giornale inglese). E noi lo stiamo commentando, perché – come tanti – capiamo l’inglese. Se l’articolo fosse uscito sul Hospodárske noviny (quotidiano economico slovacco), forse se ne parlerebbe meno. Potremmo fermarci qui. In Gran Bretagna non devono temere. Ogni preoccupazione linguistica è fuori luogo. Brexit avrà conseguenze e – temo – costringerà gli abitanti del Regno Unito a cambiare diverse abitudini. Non quella di essere capiti dovunque, senza difficoltà. Anche in Europa. È una concessione indebita? Dovremmo punire il Regno Unito depennando l’inglese dall’elenco delle lingue di lavoro dell’Unione Europea?
Risposta: e perché mai? L’inglese non è più degli inglesi, da tempo. Neppure degli americani, degli australiani, degli irlandesi o dei sudafricani. L’hanno ceduto a caro prezzo al mondo; e non si capisce perché, adesso, dovremmo restituirglielo.
Le lingue non si impongono per decreto (spieghiamolo ai francesi) e non sono soltanto una conseguenza dell’influenza internazionale, che pure conta. Le lingue sono, essenzialmente, uno strumento. L’inglese è uno strumento potente e fascinoso (grazie al cinema, alla musica, ai media, alle nuove tecnologie). E, soprattutto, è uno strumento duttile.
L’inglese è disposto ad essere tutto pur di essere sempre. Si lascia maltrattare, storpiare, pasticciare, spezzettare: e non smette di essere utile. Una ragazzo spagnolo in Olanda, un imprenditore coreano in Polonia, un turista italiano in India, un pilota russo in Siria parlano la stessa lingua. Bad English, cattivo inglese. Questa è la lingua dell’Europa e del mondo, e tale resterà. Brexit purtroppo cambierà molte cose; ma non questa, per fortuna.