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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

Più sicurezza per gli aeroporti, questo è il piano

Arretrare la zona di «filtraggio» predisponendo controlli all’ingresso dei principali aeroporti. Il giorno dopo la strage nello scalo Atatürk di Istanbul, i servizi di sicurezza italiani stringono ulteriormente le maglie. La possibilità di un attacco in un aeroporto di grande affluenza era stata data come probabile dai servizi di intelligence europei all’inizio del Ramadan, il 6 giugno. Una ventina di giorni fa l’allarme era stato circoscritto alla città di Istanbul, sia pur senza fornire indicazioni precise sull’obiettivo. E il timore è che adesso nuove azioni possano essere state pianificate in altri Paesi occidentali, non escludendo l’ipotesi di attentati simultanei. Le prime informazioni giunte dalla Turchia, in assenza di una rivendicazione immediata, convergono sulla matrice islamista e in particolare sull’Isis. Ormai si è creata una situazione che appare quasi paradossale: indebolito nelle proprie aree di influenza (dalla Siria, all’Iraq, fino alla Libia), Isis/Daesh si mostra più forte grazie all’azione di «lupi solitari» e gruppi che decidono di entrare in azione negli Stati occidentali. E puntano a quei settori nevralgici per l’economia, come appunto è il turismo. Per questo l’attenzione è ora concentrata verso tutte le mete di attrazione che possono diventare obiettivo privilegiato: le spiagge del Nordafrica così come le capitali europee.
Il «filtraggio» agli ingressi e il modello israeliano Il dispositivo di sicurezza in decine di aeroporti è stato potenziato alzando il livello dei sensori dei metal detector ed effettuando controlli mirati e continui su tutto il personale. Misure non sufficienti a scongiurare gli assalti. E dunque saranno ulteriormente rafforzati i presidi agli ingressi con la facoltà di far aprire le valigie e di controllare i documenti ben prima degli accessi ai varchi presidiati dai vigilantes privati. L’attività dell’ intelligence prevede verifiche degli addetti alle stive, al catering e a tutti i servizi di terra per prevenire eventuali complicità con personaggi legati al fondamentalismo che potrebbe utilizzarli come «basisti». Proprio come si ritiene sia accaduto il primo novembre 2015 all’Airbus 321 della «Metrojet» partito da Sharm el-Sheikh e diretto a San Pietroburgo che si è schiantato sul Sinai, provocando la morte di 224 persone, compresi 24 bambini.
A Istanbul i killer hanno usato la vecchia strategia di colpire il primo cerchio di uno scalo. Non potendo arrivare sui jet, oggi molto protetti, sparano sulla folla. Per questo si deve aumentare la vigilanza in tutte le aree: con la creazione di cerchi difensivi affidati ad agenti in divisa e in borghese proprio come accade negli aeroporti israeliani. Nulla viene lasciato sguarnito: strada d’accesso, ingresso, check-in, porte d’imbarco, navette. Gli uomini della sicurezza si mimetizzano in mezzo ai passeggeri, telecamere vegliano in ogni angolo. Naturalmente si tratta di un dispositivo che ha costi enormi e per questo – al di là dei provedimenti di sorveglianza già operativi – si sta facendo un’analisi degli aeroporti ritenuti maggiormente a rischio per intervenire con urgenza.
L’allerta di venti giorni fa e la lista nel computer L’ultima segnalazione ritenuta attendibile è giunta venti giorni fa e indicava proprio Istanbul come il prossimo obiettivo, sia pur senza fornire notizie che potessero aiutare l’attività di prevenzione. Per questo – nonostante gli «allerta» siano tantissimi e arrivino prima di ogni attacco – si sta cercando di capire quale sia stata la «falla» nel sistema di sicurezza dello scalo, ma anche nell’attività dell’ intelligence. In Turchia l’Isis conta su una vasta rete di militanti: alcuni sono stati arruolati nel Paese, in particolare dalla città di Adiyaman, nel Sud. Altri sono in Siria e da qui entrano proprio per compiere azioni o fornire supporto logistico ad altri fondamentalisti.
L’Isis ha anche inglobato personaggi estremisti legati al qaedismo e questo gli ha permesso di allargare la base. La guerra in Siria ovviamente ha favorito questa mossa e molti pensano che il vero obiettivo del Califfo sia quello di spingere la Turchia a intervenire direttamente nel Nord della Siria dove poi sarebbe più facile provocare perdite. Nel gennaio scorso la polizia ha sequestrato il computer di un alto dirigente dell’Isis in Turchia (Yunus Durmaz, poi morto). Nei documenti archiviati si parlava di massiccia campagna di attacchi con l’intento di far scoppiare il tessuto sociale turco e danneggiare l’economia.
A rischio le mete turistiche e le capitali europee La perdita di alcune roccaforti che l’Isis aveva conquistato nei mesi scorsi ha convinto evidentemente i militanti ad agire in Occidente proprio per «difendere» la propria supremazia del terrore. Sui siti Internet jihadisti si moltiplicano gli appelli a entrare in azione «in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo». La campagna ha come obiettivo dimostrare che un movimento in difficoltà riesce comunque a reagire in modo duro, «dietro le linee» del nemico, aumentando timori e portando scompiglio.
Aree a rischio – oltre alle capitali europee – vengono ritenute le mete turistiche dell’Egitto e della Tunisia, alcune aree del Kenya e naturalmente le zone balneari della Turchia. Gli analisti sono convinti che l’Italia non sia bersaglio primario, ma la propaganda Isis continua a puntare su Roma.