Corriere della Sera, 28 giugno 2016
L’umiltà di Valentino e l’intelligenza del somaro
Il somaro Valentino riesce a essere speciale anche da somaro. Ma riconosciamolo: oltre al Paese in cui nessuno dà mai le dimissioni, siamo il luogo in cui si fa una dannata fatica a trovare qualcuno che ammetta dignitosamente il proprio errore. Valentino avrebbe mille appigli: l’apocalisse meteo, il fondo saponetta, le gomme troppo tenere, piove governo ladro. Invece no. «Colpa mia. Sono un somaro». Non è da tutti, come peraltro possiamo constatare subito dopo le elezioni, dopo una bocciatura a scuola, dopo un matrimonio finito. È istintivo, quasi un impulso ancestrale, trovare subito una scusa per assolverci. Là fuori c’è sempre qualcosa o qualcuno alla base della nostra rovina. Ultimamente c’è un complotto. Valentino va controcorrente, puntando dritto alla radice vera della sconfitta. La individua dentro di sé, proprio dove stentiamo ad avventurarci quando gira male, perché è una fatica tremenda scalfire quel monolite borioso chiamato Ego. Il Mondiale si allontana ed è un peccato, ma questa vittoria non va per niente sottovalutata: vincere su se stessi, sulla tentazione di scaricare il fallimento, richiede molta forza e molta classe. Valentino, Doctor anche di umiltà. L’ultima parola andrebbe se mai spesa sul somaro, povera bestia eternamente tirata in ballo a questo modo. Ma non servono animalisti ultrà: a differenza di tanti umani, il somaro è talmente intelligente da comprendere che si fa per dire.