Corriere della Sera, 26 giugno 2016
Una petizione sottoscritta da milioni di inglesi chiede di rivotare sulla Brexit
Previdente il cittadino britannico che si firma William Oliver Healey. Addirittura il 24 novembre dello scorso anno aveva presentato una petizione al Parlamento nel caso in cui fosse stato convocato il referendum sulla Brexit. Ma ancora, all’epoca, non si conosceva la data. C’era l’impegno di David Cameron, non la certezza del quando.
Fino a qualche giorno fa la proposta di indire una nuova consultazione, «nel caso in cui il voto per il Remain o per il Leave sia inferiore al 60 per cento e l’affluenza sotto il 75», è rimasta sotto traccia nel sito della Camera dei Comuni. Dal 24, a risultato acquisito a favore della Brexit, è avvenuto il miracolo o meglio l’assalto. Chissà come, qualcuno si è ricordato, ha passato parola e il web del Parlamento è andato in tilt perché oltre due milioni di persone hanno messo la firma. E alcuni deputati hanno, a loro volta, rilanciato l’iniziativa. Una mobilitazione di massa sulle reti social. Risultato: nel tardo pomeriggio ogni mezz’ora il numero degli arrabbiati cresceva di 30, 40 mila unità (grande adesione nell’area londinese). E se così andrà avanti saremo oltre i tre o i quattro milioni. Il che è davvero straordinario e suggestivo. Nessuno sa se questo signore, William Oliver Healey, stia dalla parte vincente della Brexit o dalla parte opposta. Fatto sta che la sua proposta ha regalato ai delusi l’opportunità di cercare una via di fuga dal verdetto dell’urna.
Nel Regno Unito chiunque può presentare una petizione. È facilissimo, basta collegarsi al sito internet dei Comuni e il gioco va avanti. La regola è che se si sfonda il tetto dei 100 mila sottoscrittori, la commissione di 11 deputati è obbligata a prendere in considerazione il testo, verificare che le forme siano rispettate e poi valutare se esistano le condizioni per invitare il governo o l’aula «alle opportune azioni».
Meglio togliere di mezzo ogni illusione. Teoricamente tutto è possibile. E sognare non è vietato. Ma che un primo ministro dimissionario si prenda la briga di convocare un secondo referendum è come pensare che Nigel Farage sia uno statista del livello di Churchill. Follia. E comunque, a scanso di equivoci, Cameron ha già spiegato: una volta e per sempre, non c’è via di ritorno. A chiudere il cerchio ci ha pensato Jeremy Corbyn, il leader laburista, che è stato categorico col no. «Dobbiamo pensare a unire e non più a dividere». Il verdetto del 23 non si discute. Anche se ci sono tre o quattro milioni che pressano per avere la prova d’appello. Un esercito di arrabbiati non è cosa da sottovalutare. Ed è pur sempre un indizio serio dello stato d’animo che si è creato. Per cui il Parlamento dovrà, come minimo, dibattere la questione. Magari per poi archiviarla. Sarà invece risparmiato dalla discussione di una seconda petizione, non lanciata dal web dei Comuni ma da una piattaforma pubblica, che invita il sindaco di Londra a dichiarare l’indipendenza della capitale e a chiedere l’adesione all’Unione Europea. Centotrentamila firme. Simpatica. Ma è folklore.