La Stampa, 26 giugno 2016
La Spagna oggi torna al voto con l’incubo ingovernabilità
Mancava un mese alle elezioni e Pedro Sánchez, il leader socialista rassicurava un potente circolo di economisti nei dintorni di Barcellona: «Non ci saranno terze elezioni». Le frasi del capo del Psoe, ripetute agli imprenditori presenti, non erano scontate. La Spagna oggi torna al voto con una grande incognita: i risultati potrebbero somigliare molto a quelli dello scorso dicembre, ovvero allo scenario che ha portato a un’inedita paralisi. Stanotte, i seggi chiudono alle 20, con tutta probabilità il Paese non avrà un governo. E se negli ultimi sei mesi il Paese ha vissuto con relativa calma questa instabilità politica, la pazienza ora è finita e una terzo turno non è un’ipotesi accettabile, specie con una Borsa colpita duramente dalla Brexit.
Da domani partiranno trattative, i veti incrociati della campagna elettorale dovranno cadere. Quattro i partiti in campo: in testa, secondo gli ultimi sondaggi, è il Partito Popolare, lontanissimo però dalla maggioranza assoluta. I tre avversari, Pedro Sánchez (Partito Socialista), Pablo Iglesias (Podemos) e il centrista Albert Rivera (Ciudadanos) non sentono ragioni: nessun appoggio al Pp. Ciudadanos potrebbe affiancare il centrodestra solo a una condizione: la testa del premier Mariano Rajoy, per ora non disposto a farsela tagliare. Incompatibili, per promessa reciproca, i due nuovi movimenti, Podemos e Ciudadanos. Difficile un dialogo anche tra socialisti e Podemos. E se è vero quello che Sanchez ha detto agli imprenditori, come se ne esce?
La grande coalizione è un’ipotesi lontana, per ragioni storiche (non si è mai fatta a nessun livello) e politiche, «mai e poi mai», ha ripetuto il leader socialista, il quale però, davanti a un risultato negativo del suo partito potrebbe lasciare. Se Sánchez negherà fino alla morte ogni appoggio (anche passivo) alla destra, i colonnelli del suo Psoe mettono veti dall’altro lato, ovvero a Podemos. «Non governeremo con i populisti», ha detto venerdì Felipe González, patriarca socialista, mai stanco della politica. La voce di Felipe continua ad avere un peso enorme nel partito (quella di Zapatero è pressoché irrilevante), per accorgersene più che a Madrid bisogna spingersi a Sud, a Siviglia, la città dell’ex premier. In Andalusia, la regione con più disoccupati d’Europa, i socialisti hanno il bacino di voti storico e ormai quasi unico. Qui governa la vulcanica Susana Díaz, avversaria di Sánchez, con aspirazioni nazionali. La sua campagna è stata chiara: botte a Podemos e ai nazionalisti catalani, ovvero due dei possibili partner di Sánchez a partire da stanotte. Tagliare i ponti al segretario, potrebbe voler dire aprire le porte, se non alla grande coalizione, almeno a un accordo per lasciare governare la destra, magari con una legislatura corta. È la teoria del «comanda il più votato», enunciata proprio da Felipe. Mentre si montano i seggi si comincia già a parlare di un «re straniero», un Mario Monti alla spagnola, capace di mettere d’accordo tutti e capace di farsi intendere a Bruxelles.