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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

Il primo giorno con la fascia tricolore della Appendino, per volontà di Fassino

Da lunedì due Torino si guatano. Ma non sono quella dimenticata delle periferie e quella privilegiata del centro e della collina come la storia un tanto al chilo tramanderà ai posteri per spiegare il ribaltone elettorale. A studiarsi, sono la Torino che comandava, quella dell’ormai famoso «Sistema» e quella uscita dalle urne che vuole comandare. Sono i dirigenti, i grand commis, i volti noti che da sempre ruotano nelle stanze del potere, 60 dei quali, su un totale di 115 poltrone, sono in scadenza e attendono di sapere quale sarà il loro futuro.

Nel Palazzo Civico che in questi giorni è terra di nessuno, perché Fassino è ancora formalmente sindaco fino al 30 giugno, giorno fissato per la proclamazione degli eletti, dominano gli scatoloni per liberare gli uffici di staffisti e collaboratori. Le truppe grilline, invece, dopo il corteo un po’ becero che domenica notte al grido di «Onestà, onestà» ha marciato da casa Appendino alla conquista del Municipio, hanno scelto il basso profilo. Come, e più di loro sta facendo, per carattere ed educazione, Chiara Appendino la quale, ieri, per la prima volta, ha potuto indossare la fascia tricolore in virtù del non scontato gesto di Piero Fassino che l’ha «delegata» a rappresentarlo alla cerimonia del Farò di San Giovanni, patrono della città. La prima uscita perchè, anche avesse potuto, non avrebbe avuto scelta: da domenica Chiara Appendino vive ingurgitando Tachipirina e antibiotici per debellare l’influenza trasmessagli dalla figlia Sara di 5 mesi. La neo sindaca però, non poteva mancare all’evento scaramanticamente più importante: l’accensione, appunto, nella centralissima piazza Castello di un enorme falò sormontato dalla sagoma di un toro, simbolo della città, la cui inevitabile caduta rappresenta un segnale di buon auspicio se avviene verso la stazione di Porta Nuova, cattivo verso Palazzo Reale. Tranquilli, l’esperienza dei fuochisti di Palazzo è proverbiale e il Farò è caduto verso la stazione.
Da secchiona qual è, Chiara Appendino s’è preparata diligentemente per l’appuntamento serale preceduto, nel tardo pomeriggio, dalla sfilata di duemila figuranti in abiti settecenteschi e dallo scambio dei pani, simbolo di abbondanza, con Gianduja e Giacometta, le maschere torinesi. Dunque, alle 9.30 il primo impegno di Appendino è stato quello di incontrare funzionari e dirigenti del Cerimoniale. Incontro interrotto da una comitiva di bambini di Estate Ragazzi, uno dei punti forti delle politiche giovanili delle giunte di centrosinistra per tenere occupati i piccoli torinesi orfani della scuola e arrivati, ieri, per visitare la Sala Rossa. È finita con l’Appendino, cuore di mamma, a spiegare che «lì sta la maggioranza, là l’opposizione dove sono stata io in questi ultimi 5 anni». Un saluto via internet ai dipendenti e poi passeggiata in centro. Un «ciao» per tutti («È così dall’inizio della campagna elettorale» sorride la sindaca), selfie e abbracci come se piovessero.
Ecco, al di là degli interrogativi alimentati, per ora, dai giornali e che angustiano la Torino che comandava, in ambasce per Fondazioni in procinto di essere cancellate, varianti urbanistiche pericolanti e lucrosi incarichi che si allontanano, la prima novità rappresentata da Appendino è lo sbalorditivo rapporto con i torinesi che se proprio devono sollevare una critica guardano la sua acconciatura refrattaria a ogni intervento del coiffeur e ai volutamente rassicuranti tailleur da «madamina». Ma per il resto siamo 3-0 nei confronti di Fassino. Un paragone ingeneroso, perché ognuno ha il carattere che ha ed è ovvio che non basta la simpatia, vera o astutamente cercata, per amministrare una metropoli. Però, aiuta.