la Repubblica, 24 giugno 2016
Purtroppo morire per mano di fanatico o di un disperato o di un massacratore non è una inaudita novità
Il pazzo armato in un luogo pubblico (vedi ieri in Germania) sta diventando quasi una costante delle nostre vite. Sarà sempre meno facile capire come etichettarlo: terrorista jihadista, terrorista di altro conio, lupo solitario, fanatico delle armi, paranoico allucinato, o tutte queste cose insieme, o altre cose ancora. Abbia o meno un mandante, sia da solo o con un complice, impugnerà una mitraglietta e farà fuoco, a caso, sugli inermi.
Ogni epoca ha le sue incognite e i suoi pericoli. Si viveva, una volta, col terrore delle incursioni saracene, delle orde barbariche, dei briganti, o di soldati sbandati e feroci, anche lontano dai fronti di guerra. Predazione e assassinio non erano meno casuali, non meno inermi e incolpevoli le vittime. L’incolumità (o meglio, la presunzione di incolumità) è uno dei tanti comfort della modernità. Non è da molto tempo che si può girare per strada, o svalicare montagne, o addormentarsi in casa propria, sentendosi al sicuro. Se può in qualche modo consolarci, morire per l’arbitrio di un fanatico o di un disperato o di un massacratore non è dunque una inaudita novità, il frutto di una efferatezza “ideologica” mai vista prima. È, semmai, il ritorno a una orrenda familiarità con la violenza, come dalla notte dei tempi. Bisogna difendersi. Ma senza panico. L’uomo feroce non è un mistero inedito. È una vecchia certezza, ahimè.