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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

«Alla Popolare di Vicenza, i prestiti si facevano con i piatti in tavola». Parola di Roberto Rizzi, il private banker che per più di vent’anni ha curato un centinaio di grandi soci

 Una stretta di mano al ristorante fra l’amministratore delegato della banca e l’imprenditore. Così nascevano le operazioni “baciate” con cui la Popolare di Vicenza si è ricapitalizzata in modo irregolare, fino a polverizzare oltre 6 miliardi di euro di valore delle azioni, come messo in luce dalla Bce al termine di un’ispezione nel 2015. «Andavamo in qualche bel ristorante, in città o fuori Vicenza. Oppure, direttamente dal cliente. Spesso c’erano sia Sorato sia Giustini. Con il socio, parlavano chiaro: noi ti concediamo un finanziamento a determinate condizioni, tu con quei soldi compri azioni della banca. Tutto qui. Poche parole, con i piatti in tavola. Pagavamo il conto. Dal giorno dopo, il meccanismo era in moto». A parlare è Roberto Rizzi, vicentino, classe 1955. Per 22 anni, fino al novembre 2015, ha curato come private banker un centinaio di grandi soci della Popolare, con un portafoglio titoli da 300 milioni di euro.
«Ho fatto carriera da impiegato, non da dirigente – dice Rizzi -. Sono arrivato nel 1993, era una banca di provincia, vendevamo Bot e Cct. Poi le cose sono cambiate. Sono uscito dimissionario sei mesi fa, funzionario di quarto livello. Il mio compito nelle operazioni baciate era solo porre il “bene firma”. In pratica, certificare che la persona che avevo di fronte corrispondesse al nome sui moduli. Non potevo disobbedire. Gli accordi li prendevano loro due». Vale a dire Samuele Sorato, ex amministratore delegato e direttore generale della banca dimessosi nel maggio 2015, e il vice Emanuele Giustini, decaduto con lui. Entrambi sono indagati dalla procura di Vicenza per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza, con l’ex presidente Gianni Zonin e altri tre ex dirigenti dell’istituto.
Fra i soci gestiti da Rizzi, a cui la banca concesse finanziamenti per acquistare azioni BpVi, ci sono grandi nomi dell’imprenditoria vicentina. «Sorato e Giustini, alla mia presenza, proposero operazioni baciate a Ravazzolo, Morato e Loison. I rapporti erano amichevoli. Con i Ravazzolo si andava a cena tre o quattro volte l’anno. All’incontro con Dalla Rovere c’era solo Giustini. Io ero lì, ascoltavo. Poi aspettavo che venissero a Palazzo Thiene per le firme». La richiesta di finanziamento veniva inoltrata dalla direzione Crediti al cda per l’autorizzazione. Accordato il finanziamento, al tasso pattuito a tavola, partiva l’acquisto di azioni BpVi. Prima la firma, messa dal socio nell’ufficio di Rizzi, poi il passaggio in cda per l’ok. «Quando i soci arrivavano da me, i soldi li avevano già avuti. Dalla proposta informale all’acquisto dei titoli passavano pochi giorni», dice Rizzi.
Una relazione dell’audit della banca del 2014 qualifica i soci gestiti da Rizzi come «dotati di una struttura patrimoniale apparentemente adeguata». La Bce precisa che il gruppo della famiglia di imprenditori tessili Ravazzolo-Pilan ha ottenuto un tasso dello 0,8 percento su due linee di credito da 10 milioni ciascuna, e a fronte di 92,5 milioni di finanziamenti ha acquistato titoli BpVi per 69 milioni. Alla famiglia Dalla Rovere, attiva nella moda, la banca ha concesso 12,5 milioni e venduto titoli per 9,9. Ai Morato, panificatori industriali, sono stati dati 39,6 milioni, di cui 29,6 reinvestiti in titoli BpVi. Tranquillo Loison, impenditore dell’argento, ha speso in azioni 7,6 milioni dei 12,8 concessi. La vicinanza fra gli importi e il fatto che a molti di questi soci venisse garantito un rendimento sulle azioni intorno all’1 percento, ha portato l’audit a definire le operazioni “metodo Rizzi”, dal nome del gestore. «Ma è assurdo – dice Rizzi – non avevo margine d’azione. I tassi erano discussi da Sorato e Giustini, non da me. In più, nessuno dei clienti è riuscito a vendere una sola di quelle azioni. E io dalle operazioni non ho guadagnato un euro. Lo dimostrano i miei Cud dal 2006 in poi, sono lì da vedere».
Rizzi oggi lavora per un’altra banca. «Gli ex clienti li sento, il rapporto è buono. Ma Vicenza è piccola, non è facile. Li incontro al bar, per strada. Mi chiedono come mai le azioni non valgono niente, intanto la banca chiede indietro i soldi prestati». Chi Rizzi non vede da tanto tempo è Gianni Zonin, che dopo 19 anni alla guida della banca ora si nasconde fra la tenuta friulana di Ca’ Vescovo e la villa a Montebello. «Negli anni belli, Zonin lo vedevo una volta al mese. Aveva il conto da noi, in sede. Era austero, alcuni ne avevano timore. Lo guardavi, forte e sicuro, e pensavi che alla banca non sarebbe potuto succedere nulla di male».