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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

L’Italicum non si tocca. La sfida di Renzi «per cambiare l’Italia», dice lui

Non vuole stare sulla difensiva. E non vuole cercare compromessi, tanto più dopo la “minaccia” della minoranza sui prossimi voti di fiducia. Matteo Renzi affronta oggi, nella direzione Pd, la sconfitta delle comunali con la volontà di non seguire i consigli nè degli alleati nè degli avversari interni. Quindi dirà che «la modifica dell’Italicum non è all’ordine del giorno», che non si metterà a fare adesso il «doroteo» distribuendo poltrone dentro il Pd o cercando accordi con le correnti. Se bisogna mediare, come ha affermato l’altro giorno, «bisogna farlo con il Paese e con i cittadini». E la svolta a sinistra? Renzi spiegherà che è già in corso, a partire dalle politiche sociali. «Le abbiamo fatte, con il fondo per la povertà, con la legge sul Dopo di noi, con i contratti a tempo indeterminato. Ma sociale per me non significa solo welfare, è anche la crescita», ha argomentato ieri con i suoi collaboratori.
Dal microfono dell’assemblea pd il segretario offrirà una lettura del risultato delle amministrative sottolineando il buono e il cattivo. «Vedremo come va il referendum sulla Brexit. Comunque inviterei i miei compagni di partito a valutare le condizioni della sinistra in Europa e a fare la differenza con il Pd». Insomma, se non sarà una sfida poco ci manca. Ma questo non toglie che intorno a Palazzo Chigi e a Largo del Nazareno siano cominciate manovre che partono da un dato di fatto: Renzi si è indebolito, la sua calamita ha perso potenza. Lo ha dimostrato plasticamente l’incidente in Senato ieri mattina. Il governo è andato sotto due volte, per via dei voti contrari, su emendamenti dei centristi, Ncd e Ala. «Un pizzino a Renzi», ha malignato subito Renato Brunetta. Angelino Alfano non è d’accordo, ovviamente. Eppure non nega il problema.
Subito dopo l’episodio, il ministro dell’Interno ha sentito le ragioni dei suoi senatori. «Si votava per alzare la pena davanti ad atti di terrorismo radioattivo – ha spiegato il leader Ncd ai colleghi della Camera – Era più bassa dell’omicidio stradale». C’è solo questo? «I senatori e i nostri elettori vogliono capire che senso politico possiamo dare alla collaborazione col Pd. Anche se nessuno se lo ricorda Ncd ha preso 1 milione e 200 mila voti alle Europee. Una volta fatto il referendum e terminato il cammino delle riforme, cosa gli raccontiamo?». L’obiettivo di Alfano e dei suoi è modificare l’Italicum, fare in modo che si apra alle coalizioni per realizzare un’eventuale alleanza con Renzi e il Pd. Per questo il «tagliando» chiesto l’altro ieri non potrà essere un nuovo penultimatum: la scadenza elettorale si avvicina.
Un fronte si muove anche nel Partito democratico. Mercoledì sera si è riunita a cena, in un ristorante del centro di Roma, la corrente di Dario Franceschini. Non capitava da due anni, dal momento in cui Renzi era salito a Palazzo Chigi. «Una cena di sostegno al premier», riferiscono i presenti. C’erano il ministro della Cultura, la ministra Roberta Pinotti, il capogruppo Ettore Rosato, la vicepresidente della Camera Marina Sereni, Emanuele Fiano. Nessuna congiura, ma qualche cenno critico sì. Rispetto all’arroccamento di Renzi, alla chiusura del cerchio magico, alla mancanza di dialogo. «Matteo è troppo portato a chiudersi», ha detto qualcuno. Qualcun altro ha sottolineato, per esempio, il fallimento dell’Imu-day o criticato l’ipotesi di Maurizio Martina come vicesegretario unico: «Non sarebbe la risposta ai problemi».
Renzi però ha intenzione di mantenere il punto, almeno per ora, anche sul referendum costituzionale di ottobre. «Non è una consultazione su di me, ma sull’Italia. Questo è il messaggio che deve passare, cosa cambia davvero per il Paese», dice il premier nei suoi colloqui privati. «Non ho mai voluto personalizzare l’appuntamento. Ho solo detto che le conseguenze per il governo e per il Parlamento, in caso di vittoria del No, sarebbero abbastanza scontate». Ma il segretario non vuole che il tema del referendum diventi centrale. Perché non si è perso a Roma e Torino per colpa della sfida istituzionale. In fondo è quello che pensa anche la sinistra interna. Se sono le periferie il terreno di scontro, Renzi andrà a vedere le carte degli avversari. «Noi abbiamo fatto già molto. Non più di una settimana fa la legge sul Dopo di noi che offre una garanzia ai figli disabili quando i genitori non ci sono più. Loro che mi attaccano sempre, su questo non hanno detto niente, non ho visto nemmeno un tweet venire da quella parte», ricorda indignato Renzi parlando con i suoi fedelissimi. «Non so cosa vogliono invece sugli assetti interni. So che non farò alchimie dorotee. Quindi niente spostamenti di poltrone. Interverremo perché i problemi ci sono, lo so. Ma fuori dai giochetti delle correnti». Dunque, il premier non si presenterà oggi con la faccia mesta dello sconfitto. Ma con quella di chi intende continuare una sfida. «Per cambiare l’Italia», ripete.