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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

Quelle ventisei ore di sit-in alla Camera contro le armi (che non sono bastate)

Quasi ventisei ore di sit-in nell’aula della Camera dei rappresentanti non sono servite a riprendere la discussione sulle armi. Nel primo pomeriggio, Nancy Pelosi, leader della minoranza democratica, affaticata e leggermente spettinata, si presenta davanti alle telecamere per annunciare la fine della protesta, cominciata il giorno prima. Parlamentari e attivisti smantellano i presidi dentro e fuori il Parlamento. Il momento decisivo nella notte tra martedì e mercoledì. Lo speaker della Camera, il repubblicano Paul Ryan, convoca una sessione straordinaria. Agitazione incredibile. Molti deputati democratici agitano cartelli con le immagini dei morti nella strage di Orlando, l’11 giugno. Dall’altra parte i repubblicani gridano al «colpo di mano». Sul tavolo della presidenza due proposte di legge: una per rafforzare i controlli sulla fedina penale di chi acquista armi; l’altra per vietare la vendita di pistole e fucili a chi compare nella lista dei sospettati di terrorismo, compilata dall’Fbi. Proposte già respinte dal Senato lunedì scorso.
Ryan non riesce, o forse neanche ci prova con convinzione, a mettere ai voti i provvedimenti. Alle 3 e un quarto di notte dichiara conclusa la sessione e, come previsto, dà appuntamento ai parlamentari per il 5 luglio, il giorno dopo l’Indipendence Day. Prima di andarsene ordina ai funzionari di spegnere tutto: la House è chiusa. Il sit-in? «Una trovata pubblicitaria».
Ma i rappresentanti dei democratici non si muovono. Diffondono immagini e discorsi via Facebook e Periscope. Leggono una lettera di Gaby Giffords, la parlamentare sopravvissuta a una strage, rispolverano «We shall overcome» di Joan Baez. L’ultimo ad andarsene è John Lewis, 76 anni, un veterano di mille battaglie per i diritti civili. Era stato il primo a sedersi sul pavimento dell’Aula.