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 2016  maggio 31 Martedì calendario

Ritratto di Francesco Greco, il pm della lotta all’evasione

Sbagliano, ma per tutt’altro verso hanno ragione, coloro che nella nomina di Greco salutano chissà quale «Procura della Nazione».
Sbagliano, perché quasi 40 anni di carriera – l’inchiesta sulle tangenti Icomec nell’era geologica pre-Mani pulite di cui poi Greco nel 1992-1994 sarà nucleo storico con Di Pietro-Colombo-Davigo, la tangente Enimont, le indagini All Iberian su Berlusconi, il crac Parmalat, le scalate bancarie Antonveneta-Bnl sino alla condanna sul primo capitolo del governatore di Banca d’Italia Fazio – testimoniano che solo una grottesca caricatura potrebbe schiacciare il suo profilo di pm sulle sue multiformi relazioni.
Ma hanno anche ragione. Perché Greco, per mentalità personale e approccio sostanzialista al lavoro, paradossalmente può essere assimilato da sempre a una sorta di «renziano» prima ancora di Renzi: cioè un cultore ante litteram di «disintermediazione» e trasversalità all’insegna del risultato concreto da incassare.
Fosse per lui – «io sono molto laico e anche contrattualista pure nel penale» —, all’americana neppure processerebbe più chi sceglie di pagare e si mette in regola aderendo a un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate, «e invece noi dobbiamo comunque continuare a fare un processo che a nessuno più interessa». Mentalità che – a partire dal rientro dall’Olanda del gruppo Prada nel 2014 con 450 milioni al Fisco – si coglie anche dietro le trattative con i web-colossi dell’elusione fiscale come Apple o Google: iniziative apripista in Europa, nelle quali il pungolo penale sospinge le compagnie estere a intese con il Fisco tanto ingenti (ad esempio i 318 milioni di Apple) quanto non del tutto onerose rispetto alle iniziali miliardarie contestazioni. Anche perché, se i migliori risultati sono sempre giunti da patteggiamenti all’esito di indagini (come i 400 milioni dal caso Antonveneta), più accidentato è stato invece il percorso giudiziario quando si è snodato nelle aule dei processi: dove taluni Tribunali è capitato lamentassero imputazioni da mettere a fuoco (come nel processo All Iberian poi soffocato da una berlusconiana legge ad personam), o si rammaricassero (come nelle motivazioni su Parmalat-Tanzi) che ulteriori responsabilità restassero inesplorate dalla priorità data a rapidi patteggiamenti.
Attento a coltivare il rapporto non solo con la Guardia di Finanza ma anche con Agenzia delle Entrate (che ha personale stabile in Procura) e Banca d’Italia, e dotato d’una visione capace negli anni di anticipare nuove strategie nelle indagini economiche (la responsabilità amministrativa delle imprese, l’uso del reato di aggiotaggio, ora la caccia agli intermediari riciclatori dell’evasione), Greco, oltre a portare allo Stato incassi da manovra finanziaria, di fatto ha ispirato più leggi di gran parte dei parlamentari: autoriciclaggio, falso in bilancio, rimpatrio dei capitali, e soluzione giuridica (sinora impantanatasi in Svizzera nei ricorsi dei Riva) per riversare nella bonifica ambientale dell’Ilva di Taranto, ancor prima del processo fiscale, il miliardo e mezzo di euro sequestrato da Milano.
Sarà anche questa la fonte dei riposizionamenti degli estimatori dell’ultima ora di un pm che va ai seminari Aspen Institute di Tremonti, ai convegni dell’avvocato ex ministro della Giustizia Severino, in vacanza in passato con Guido Rossi, o ai dibattiti con il sindacalista Maurizio Landini. Fra quanti bollano la voluntary disclosure come un favore del governo agli evasori fiscali, ad esempio, tanti ora acclamano capo dei pm milanesi proprio l’artefice della legge, rivendicata da Greco (più ancora che per i 60 miliardi rimessi nel circuito legale o i 4 miliardi arrivati al Fisco) per il fatto che «120.000 persone abbiano così deciso di fidarsi dello Stato e aprire un rapporto di collaborazione». Buffo anche che i fans dell’estesa competenza territorial-finanziaria dei pm di Trani incensino nel contempo proprio Greco che, «tra le cose che non funzionano in magistratura», mette l’immaginare «che il centro della finanza mondiale abbia competenza dalle parti della Puglia, anziché a Milano dove c’è la Borsa». E non poco singolare è che gli stessi che tacciavano l’ex procuratore Bruti Liberati di una spiccata attitudine a ponderare le compatibilità politico-economiche dell’attività della sua Procura, ora si spellino le mani nell’applaudire la nomina del vice di Bruti più in sintonia con Bruti, cioè col procuratore scordatosi tre mesi le intercettazioni fiorentine del caso Sea-Gamberale.
Bersaglio in passato degli strali dell’entourage berlusconiano (anche se ora fa sorridere che i suoi giornali lo ritraggano «svettare su tutti per metafisico potere e superiorità professionale», e gli attribuiscano la condanna di Berlusconi ottenuta invece dal pm Fabio De Pasquale), nel contempo Greco è stato destinatario nel 1997 delle insofferenze dalemiane e prosciolto da una azione disciplinare del governo Prodi per aver detto in un convegno di Micromega che l’allora «governo di sinistra» stava «facendo sulla giustizia ciò che neppure Craxi aveva mai tentato». Oggi la critica è invece all’«azione delle Procure ormai troppo divaricata sul territorio, alcune cercano di non far prescrivere i reati e altre li mettono negli armadi: quando la magistratura deciderà prima o poi, e spero più prima che poi, di avere una visione uniforme, che ovviamente rispetti l’autonomia e l’indipendenza dei singoli Uffici ma anche un criterio di omogeneità, faremo tutti un passo avanti».