CorrierEconomia, 30 maggio 2016
Chi decide in Unicredit?
Ma chi decide in Unicredit? «Decidono tutti, e questo significa che non comanda nessuno». A sondare gli ambienti vicini al colosso milanese, è questo il clima che si respira dentro al board e tra i soci dopo il passo indietro di Federico Ghizzoni dalla guida operativa della banca, su richiesta dei soci forti e del mercato. Il banchiere 60enne – una vita passata nell’istituto, dalla filiale del Credit di Largo Battisti a Piacenza 36 anni fa fino alla poltrona di amministratore delegato raggiunta nel 2010 – lascerà dopo una «opportuna fase di transizione» una volta che sarà stato individuato il nuovo ceo. Una transizione gradita in particolare dalla Vigilanza unica della Bce.
I tempi non sono ancora certi – c’è in calendario un board per giovedì 9 giugno ma non è detto che si faccia in tempo – e Unicredit di tempo non ne può perdere: ha subito da inizio anno un calo di circa il 40 per cento, più dell’indice europeo dei bancari; il piano industriale di Ghizzoni presentato a novembre rischia di venire congelato nei fatti; chiunque arriverà impiegherà parecchio tempo per comprendere la complessità di un gruppo radicato in 17 Paesi e con oltre 100 mila dipendenti.
ComitatiSulla successione soci e consiglieri si muovono ancora in ordine sparso. Ma proprio per questo i prossimi passaggi non saranno formali ma di sostanza. Il primo si avrà mercoledì 1 giugno: il comitato ristretto composto dal presidente Giuseppe Vita, dai vice Luca Cordero di Montezemolo e Vincenzo Calandra Buonaura e dalla consigliera indipendente Clara Streit porterà una proposta di nomina dell’ head hunter al comitato governance, che darà l’incarico. Il ruolo del cacciatore di teste non sarà segretariale, come pure qualcuno ipotizzava. La selezione si vuole che sia quanto più possibile trasparente e autentica: non saranno dunque sondati «i soliti tre amici», dice una fonte a conoscenza del dossier, ma almeno una decina di manager italiani ed esteri.
I protagonisti di questa partita non sarebbero d’accordo nemmeno sul profilo del futuro ceo. «Serve un grande banchiere retail, non un banchiere d’affari», ha detto venerdì 26 Francesco Gaetano Caltagirone, socio con circa l’1%. Sulla stessa linea sembra essere il vicepresidente in quota Aabar (il fondo sovrano di Abu Dhabi primo socio con il 5%) Luca Cordero di Montezemolo.
AutorevolezzaI fondi vorrebbero una figura che sia riconosciuta come autorevole dal mercato e dall’autorità di vigilanza. Le fondazioni Crt, Cariverona e Carimonte contano se prese tutte assieme: ora controllano il 7% ma potrebbero diluirsi ancora, se Unicredit davvero lanciasse un pesante aumento di capitale; per questo motivo starebbero unendo le forze, e da qui il riavvicinamento tra il vicepresidente di Unicredit (in quota Crt) Fabrizio Palenzona e l’ex numero uno di Cariverona, Paolo Biasi, da cui però non sarebbe ancora scaturito un nome unitario. O almeno, se c’è, viene tenuto coperto.
Quasi tutti preferirebbero un italiano: Unicredit è troppo importante per il sistema per affidarla a un top manager straniero. Un banchiere italiano avrebbe invece dalla sua anche una maggiore facilità di rapporti con il governo (anche se si vuole fare in fretta proprio per evitare spinte eccessive dal fronte politico).
Finora non ci sarebbero stati colloqui ufficiali ma la rosa dei nomi circolati è ampia e di alto livello. Marco Morelli, 54 anni, ha un’ampia carriera tra Mps, Intesa Sanpaolo (alla Banca dei Territori) e in Bofa-Merrill Lynch: si dice piaccia a Caltagirone e non dispiaccia a Biasi e in più è vicino al governo essendo stato fra l’altro l’advisor per la nascita del Fondo Atlante; Alberto Nagel, 51 anni il prossimo 7 giugno, ceo di Mediobanca, conosce molto bene il mondo Unicredit (primo socio di Piazzetta Cuccia) e quello delle fondazioni; in corsa viene dato anche Gaetano Micciché, 65 anni, appena diventato presidente di Banca Imi dopo esserne stato per anni ceo nonché direttore generale corporate di Intesa Sanpaolo (si dice non dispiaccia a Montezemolo). Qualcuno suggerisce anche Victor Massiah, 56 anni, a capo del gruppo Ubi.
Poi ci sono i banchieri «stranieri», cioè i capi delle strutture italiane di colossi esteri, che possono vantare buoni risultati raggiunti: Flavio Valeri, 52 anni, chief country officer di Deutsche Bank in Italia dopo esperienze a Londra e Francoforte e master ad Harvard, potrebbe non dispiacere al «tedesco» Vita; Giampiero Maioli, 59 anni, responsabile del Crédit Agricole in Italia e ceo di Cariparma-Crédit Agricole, guida uno tra gli istituti esteri più radicati in Italia. Come outsider viene visto Fabio Gallia, 52 anni, fino all’anno scorso a capo di Bnl-Bnp Paribas che ha lasciato per diventare amministratore delegato di Cdp.
PersonalitàNella scelta peseranno anche le personalità più forti nel board come l’economista Lucrezia Reichlin, eletta dai fondi istituzionali che ora sono la maggioranza nell’azionariato, l’inglese Anthony Wyand, Montezemolo, ma anche i soci privati come Caltagirone (nel board siede il figlio Alessandro), gli indipendenti come Elena Zambon e ovviamente Palenzona e Biasi, sebbene con un ruolo meno decisivo rispetto agli anni passati. Una via per mettere tutti d’accordo potrebbe essere rimettere in discussione la governance, mettendo in discussione anche la poltrona di Vita: qualcuno lo ipotizza in questa stessa tornata di nomine, altri dicono tra qualche mese.