la Repubblica, 28 maggio 2016
Riti e superstizioni prima di una finale di Champions
Come ogni volta prima di una partita importante, ieri sera verso le undici, quasi fosse l’ora della favola della buonanotte, Diego Simeone ha bussato alla porta delle camere, prima quella di Oblak, poi le altre, e ha confessato uno per uno i suoi. Da te mi aspetto questo questo e questo, in genere così vanno i faccia-a-faccia con l’uomo chiamato Cholo, convinto che stia spingendo nel cuore della squadra un messaggio capace di riattivarsi nel momento del bisogno. In albergo, lo stesso in cui l’Atlético dormì due anni fa prima di battere il Milan, ha chiesto di smantellare i tavoli da quattro posti, e di poterne avere uno grosso, rotondo, dove pranzare tutti insieme, così da guardarsi in faccia e parlare; parlare di calcio, e sentimenti.
Simeone quasi si offende. «Chi pensa che conti la superstizione, toglie valore al lavoro che facciamo». Ma se non è superstizione, deve trattarsi di un suo parente stretto. Per tutta la settimana ha evitato che la squadra ripetesse i gesti che precedettero la finale persa a Lisbona nel 2014. Ha cambiato campo d’allenamento; via da Los Angeles de Rafael. Ha spinto il club a inviare una richiesta ufficiale alla Uefa per evitare la maglia biancorossa della sconfitta, benché si tratti del cuore dell’identità colchonera: il bianco e il rosso erano i colori della stoffa dei materassi a buon mercato con cui a inizio ’900 si cucivano le maglie. Dopo i Mondiali del ’50 il Brasile non ha mai più indossato il bianco. Simeone avrebbe voluto giocare stasera vestito di blu, come contro Barcellona e Bayern. Richiesta respinta. Ha invece ottenuto di volare a Milano con lo stesso aereo usato dal Siviglia per andare a Basilea a battere il Liverpool in finale di Europa League.
La superstizione non è nata ieri, nel mondo del pallone. C’è chi non si rade, chi vuole entrare in campo per ultimo, chi sputa contro il muro degli spogliatoi. In viaggio verso lo stadio, Rummenigge sedeva sempre accanto al finestrino in quarta fila. Ulivieri non cambiò il cappotto per quattro anni. Pesaola ascoltava un disco di Peppino Gagliardi. Maradona andava a dare un bacio sulla testa del massaggiatore Carmando. Inzaghi mangiava una scatola di biscotti lasciandone due. L’Atlético fa parlare prima di ogni partita le stesse tre persone. Gabi si siede al centro e risponde per primo, Simeone è alla sua destra, Torres a sinistra. Non che quelli del Real siano degli illuministi. «Ho le mie manie, ma le conoscono in pochi. Di certo non cambio le cose che vanno bene», ammette Sergio Ramos. E dunque il Real s’è presentato a Milano con lo stesso aereo – deve essere una mania spagnola – che aveva portato la squadra a Lisbona nel 2014. Stesso equipaggio a bordo, riferiscono: lo steward Gonzalo Larraz Rivera, le hostess Rosa della Sosa Mesa e Verónica Leciñema Ortega. Con il Real, nel ruolo di portafortuna, ha viaggiato Richard Gere, invitato pure sul prato per una foto e un paio di calci a un pallone. Un biglietto è stato offerto pure a Yoko Ono. Come due anni fa, Cristiano Ronaldo è entrato nella cabina del pilota a fare la foto col comandante, Juan Medina García, pare senza spargere panico a bordo. Il panico è invece venuto a Fernando Torres quando ha scoperto che a San Siro avevano assegnato gli spogliatoi dell’Inter al Real, mentre a lui toccava la stanza occupata nell’anno disastroso al Milan. Ma chi pensa che conti la superstizione, eccetera eccetera. Non ci crederete mica, a queste cose.