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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

Non esistono scorciatoie per la crescita. L’esempio della Spagna

Immaginiamo il G7 fra un anno, con l’Italia Paese ospitante. Attorno al tavolo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Marine Le Pen per la Francia, il neo-premier di Londra Boris Johnson che paragona l’Unione Europea a Hitler; e per l’Italia Beppe Grillo, o meglio un pentastellato giovane come Luigi Di Maio. Tutti seduti assieme a Angela Merkel, che a questo punto sembra uscita da un altro secolo. Improbabile, non inconcepibile. Soprattutto è la prospettiva fatta balenare ieri in una pausa del G7 in Giappone da Martin Selmayr, capo-staff del presidente della Commissione Ue. Nel frattempo lo stesso Jean-Paul Juncker, il suo responsabile diretto, ha avvertito il bisogno di rassicurare i Grandi sulla situazione finanziaria dell’Italia e della Spagna: «Le politiche di bilancio di Roma e Madrid vanno nella direzione giusta», ha detto al vertice.
Difficile tracciare un legame più stretto fra finanza pubblica e congiuntura politica. Il voto in Austria, dove l’estrema destra ha sfiorato la presidenza, è solo l’ultimo allarme. Altri seguiranno ogni nuovo referendum o elezione in Occidente. A questo punto di fronte all’imperativo di disinnescare le forze contrarie al sistema internazionale come lo conosciamo, anche la Commissione Ue e la Germania sono disposte a declassare altre priorità. Il risanamento dei conti sembra un po’ meno urgente. Ma se l’implicazione è che davvero il deficit pubblico funzionerà a meraviglia come polizza anti-populista i leader partecipanti al G7 di ieri in Giappone rischiano delusioni cocenti. In primo luogo, perché una certa tolleranza in più non equivale a un consenso europeo e globale per politiche di disavanzo. Lo ha constatato in questi giorni Shinzo Abe, il premier giapponese che non è riuscito a strappare il timbro del G7 sulla sua scelta di rinviare gli aumenti dell’Iva su cui è impegnato. Merkel cortesemente ha opposto la solita resistenza passiva a qualunque strategia di spesa o tagli di tasse in deficit. Lo stesso David Cameron, in piena campagna contro la Brexit, non accetta sconfessioni alla sua linea di risanamento a Londra. È in una cornice del genere che Matteo Renzi, in questo vicino a Abe, persegue una strategia del doppio binario. L’Italia ha appena chiuso un accordo con Bruxelles che prevede di ridurre il deficit all’1,8% del reddito nazionale (Pil) l’anno prossimo, implicando un aggiustamento da circa dieci miliardi da varare in autunno. Da allora però nel governo è tutto un fiorire di nuove proposte di segno opposto: l’anticipo pensionistico, sgravi permanenti sul lavoro, tagli anticipati all’imposta sui redditi, bonus da 80 euro alle pensioni minime.
Proposte a volte utili in sé ma per ora nell’esecutivo solo il neo-ministro Carlo Calenda parla con altrettanta forza anche di tagli di spesa. La sostanza è che l’Italia probabilmente ha deciso di tenere il deficit fra il 2 e il 3% e di stabilizzare il debito. Niente di meno, ma niente di più. La motivazione è quella di cui parla Selmayr: garantirsi che non ci sarà un G7 con le persone sbagliate attorno al tavolo l’anno prossimo. Funzionerà per la politica e l’economia? Difficile dirlo.
Per adesso si nota che la Spagna da tre trimestri cresce a un ritmo annuale tre volte e mezzo più veloce dell’Italia. Fa più deficit Madrid, d’accordo, ma se l’Italia volesse crescere altrettanto con gli stessi mezzi dovrebbe sviluppare un disavanzo sopra il 7%: impraticabile. Si nota anche che nel quarto trimestre del 2015 l’Italia è il Paese dell’euro con i flussi più ridotti dalla disoccupazione verso lavoro (dopo Grecia e Slovacchia) e nettamente il primo per i flussi dalla disoccupazione verso l’inattività: in troppi gettano la spugna e non cercano più. Queste realtà suggeriscono che non ci sono scorciatoie verso una crescita sana. Le riforme della contrattazione su cui l’Italia esita ancora, in Spagna sono legge da quattro anni. Il resto è una scommessa a leva finanziaria basata sulla disponibilità della Banca centrale europea a sterilizzare i mercati finanziari ancora a lungo. Non una certezza: una scommessa.