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 2016  maggio 26 Giovedì calendario

Eppure Occhetto nel 1994 voleva una riforma come questa di Renzi

Oggi la stragrande maggioranza dei sostenitori del No al referendum costituzionale militava nei partiti dell’Ulivo e in particolare nel Pds che nel programma di governo prevedeva il superamento del bicameralismo paritario. Già nel 1994 gli eredi del Pci proponevano, accanto ad un’Assemblea nazionale, una «Camera delle Regioni». In più si ipotizzava una sorta di premierato forte attribuendo al presidente del Consiglio «il potere di nomina e di revoca dei ministri». Potere che nella riforma di Renzi non c’è (continua a rimanere in capo al presidente della Repubblica). Eppure l’allora segretario del Pds Achille Occhetto è schierato per il No, come Fabio Mussi e Cesare Salvi che è stato relatore sulla forma di governo nella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema.
Perché adesso sono contrari a una riforma che, per certi versi (vedi appunto i poteri del premier), è acqua fresca rispetto a quella immaginata tanti anni fa? «Acqua fresca un corno», sbotta Mussi. L’ex ministro ed ex capogruppo Pds ferma l’auto sull’Aurelia e spiega con la sua notoria verve che è «infantile piluccare un po’ di monocameralismo di Berlinguer e Ingrao, che erano proporzionalisti accaniti, e un po’ di tesi dell’Ulivo». «Le nostre proposte, dal Pds all’Ulivo fino alla Bicamerale avevano un equilibrio. Qui – dice Mussi – il Senato è il massimo della confusione, il potere del premier con l’Italicum non ha eguali in Occidente. Il voto di lista e il premio di maggioranza consente a chi ottiene il 25% dei voti al secondo turno di prendersi tutto il cucuzzaro. E magari al ballottaggio va a votare solo la metà degli elettori. È la distruzione della democrazia parlamentare. E poi – si chiede Mussi – Renzi è sicuro di vincere le elezioni?».
Dunque, nessuna contraddizione tra il No e le proposte del passato. Se c’è poi una cosa che Occhetto non sopporta è di passare per conservatore. Anzi, «il mio programma del ’94 dimostra esattamente il contrario. Era un modello molto più avanzato di quello voluto da Renzi. Proponevo un monocameralismo vero e una Camera delle Regioni elettiva con una chiara definizione delle competenze, come punto di unificazione di un sistema federale. Era una riforma organica e radicale, anche nella forma di governo: si immaginava una legge elettorale a doppio turno che realizzasse gli stessi obiettivi conseguiti con l’elezione diretta del sindaco. Altro che conservatori contro rinnovatori!». Basta con questa campagna referendaria manichea: «Renzi chiede un plebiscito su di lui e schiaccia tutti quelli che sono per il No nel campo conservatore. Io lo so che dentro il fronte del No ci sono veri conservatori, ma sono gli stessi che erano contro di me allora. Non voglio essere confuso con loro».
Rottamati sì, conservatori no. E soprattutto la vecchia guardia della sinistra (molti di loro sono vicini a Sel) vuole che si parli del merito, non a colpi di anatemi e accuse. E Salvi sul merito vuole rimanere per ricordare che le proposte della sinistra che arrivano dagli anni Novanta fino ad oggi, passando per la Bicamerale, prevedevano o un Senato delle Regioni modello tedesco o eletto direttamente. «Il bicameralismo di oggi non corrisponde a nessuno di queste ipotesi. Il Senato non è rappresentativo delle Regioni ma dei partiti: i consiglieri regionali sono espressione dei partiti non dell’istituzione Regione». Per Salvi «la riforma è scritta male, non funzionerà, è il frutto di troppe mediazioni politiche. Ho l’impressione che la stessa esigenza di governo non verrà realizzata».