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 2016  maggio 26 Giovedì calendario

Ogni giorno il Telefono Azzurro riceve duecento chiamate

C’è una bambina agitata al telefono. «Il nonno grida con la nonna», sussurra la sua vocina spaventata. Clic. Pochi secondi e richiama: «Passava lui e non potevo farmi vedere al telefono, sennò urlava anche con me». Appena il tempo di dire il nome e l’età (7 anni) e il nonno passa di nuovo. Clic. Avanti così per venti minuti. Nell’ultima chiamata la piccola è delusa: «Mi sono nascosta sotto il tavolo per prendergli la gamba e fargli venire un po’ di paura anche a lui, ma non ha funzionato...».
Bambini che chiedono aiuto. Non importa se per risolvere un problema di matematica o raccontare un’esperienza drammatica. Cercano una mano tesa, solo questo conta per Telefono Azzurro, Sos per bambini fondato dal professor Ernesto Caffo nel 1987. Operatrici e operatori (psicologi professionisti) che 24 ore su 24 rispondono, rassicurano, annotano e, quand’è il caso, chiedono l’intervento della polizia, dei servizi sociali, dei carabinieri, della scuola... Arrivano più o meno 200 chiamate al giorno, comprese quelle fatte per scherzo o per insultare. E in più c’è la chat. Parlano o scrivono molto spesso ragazzini fra gli 11 e i 14 anni, ma anche bimbi più piccoli. Ed è ogni giorno un fiume di parole bisbigliate, urlate, scritte, imparate a memoria, dette con rabbia o disperazione oppure non dette, sospese fra le lacrime.
«La fidanzata di mio papà non mi fa entrare in casa quando lui non c’è e allora io mangio e faccio i compiti sul pianerottolo» ha raccontato un bambino di otto anni sul punto di piangere. «Non l’ho detto mai a nessuno perché non volevo far dispiacere il mio papà ma oggi non mi apre nemmeno il portone, piove e io ho freddo». Succedeva un po’ di tempo fa. Il padre, si è scoperto, ignorava tutto.
Molti, per la vergogna di confessare debolezze o ignoranze proprie, descrivono amici immaginari. «Quel mio compagno di classe... lo prendono in giro, gli dicono che è sfigato, lo lasciano fuori da ogni gruppo. Lui è depresso, cosa può fare?». Oppure: «La mia amica ha baciato un ragazzo e ha paura di essere incinta. Può succedere?». Le richieste di chiarimento sul sesso vengono sempre da ragazzine. «Ho quasi 16 anni e sono ancora vergine. È normale?». «A che età si può avere il primo rapporto sessuale?». «Come si usa un preservativo?».
Ma per Lucia, Ilaria, Silvia, Antonietta e le altre operatrici, le chiamate spassose, diciamo così, sono una minoranza. C’è da fare i conti soprattutto con quelle drammatiche, ogni giorno. E spesso sono bambini o adolescenti che vivono le loro angosce fra le mura di casa. Violenze sessuali, maltrattamenti. Chiamano ma un attimo dopo vorrebbero non averlo mai fatto perché temono le conseguenze: «Adesso che vi ho detto che mi tocca che succederà a papà?», «mi picchia ogni giorno ma non gli dite che ho chiamato o mi ammazza, vi prego», «la mamma non sa niente, si arrabbierà con me?», «è stato il mio fratellastro, l’ha fatto con me e adesso forse lo fa con le mie sorelline. Ma ora lui va in carcere?».
Non è una novità che i genitori usino i figli per ricattarsi a vicenda e capita che suggeriscano loro stessi la chiamata e il racconto da fare. Così ecco il bimbo di 7 anni che dice «vi chiamo perché sono vittima di un abuso psicologico da parte di mio padre», oppure: «Mia madre ha avuto un decreto di affidamento ingiusto».
Qualche volta sono annunci di suicidio (quasi sempre intenzioni reali) e scatta la corsa per raggiungere l’indirizzo dichiarato o risalire alla casa dalla quale è partito il messaggio in chat. Con genitori ignari, ovviamente. Come quella volta della 13enne che chiamò per dire «per i miei non esisto, sono invisibile, non ho attenzione, non mi capiscono, li odio». Riattaccò dopo aver dato solo il nome, nessun cognome né indirizzo. Un’ora dopo scrisse in chat: «Mi uccido». La polizia faticò per rintracciare l’indirizzo, alla fine gli agenti suonarono a una villa. La salvarono davanti a due genitori sgomenti almeno quanto lei.
Sempre più spesso chi risponde al telefono si trova a parlare di Internet e immigrati di seconda generazione. «Ho fatto sesso online attraverso una chat e adesso lui minaccia di pubblicare tutto» chiede aiuto una quattordicenne fra le tante finite sotto ricatto via web. Ha un anno meno di lei, invece, una ragazzina figlia di musulmani che chiama disperata perché i suoi genitori non vogliono che parli con nessun compagno di classe maschio e perché «mia madre mi ripete che devo prepararmi a sposarmi e a essere una brava moglie. Posso avere un’altra famiglia?». Nelle sue stesse condizioni un’altra ragazzina dice che «ho avuto la prima mestruazione e mio padre vuole che metta il velo. Ma io non voglio, fa caldo e non mi piace». C’è chi chiama per dire «sono triste, nessuno parla con me» e chi ha subito abusi da piccolissimo e vuole sapere: «Diventerò un uomo così?».
Nel 2015 i casi trattati sono stati 2.700 via telefono e 971 via chat. Trattati, cioè segnalati e presi in carico da qualcuno perché c’era bisogno reale di assistenza, spesso per fatti gravi. Fortuna che ogni tanto la voce dall’altra parte mette un po’ di allegria. L’altro giorno era una bimba di 8 anni: «Voglio scappare, non voglio andare in vacanza con mamma. Puoi dirglielo tu? La nonna cucina cose che non mi piacciono e gli animali nel cortile sono brutti». Rintracciata la madre, coccolata la piccola, alla fine un sorriso: «Vabbè, ci vado. Ma è l’ultima volta».