Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

La crisi greca tra rinvii e pasticci

Gli italiani hanno sempre seguito le vicende del debito greco dalla prima fila. In senso ironico, purtroppo: una volta risolto il problema di Atene, Roma avrebbe avuto infatti lo scomodo privilegio del debito pubblico più alto dell’euro-area. Nel 2010, quando per la prima volta il Fondo monetario propose di ristrutturare il debito greco, il progetto fu fermato sul nascere dalla Bce consapevole del rischio di contagio per l’Italia e per gli altri Paesi. Ora il tabù si può rompere. Si può riconoscere anche formalmente che le promesse degli Stati debitori possono essere “un’illusoria certezza in un mondo incerto”. Grazie alla presenza sui mercati della Bce, sul rischio di contagio è infatti calato il silenzio.
In parte questo silenzio è ingannevole. Nella trattativa sulla Grecia, Berlino si è opposta a una ristrutturazione dei debiti soprattutto per motivi politici interni. Merkel non vuole presentarsi a un Bundestag in ebollizione, rinnegando prima delle elezioni del 2017 gli impegni che aveva preso, e così versando benzina nell’incendio euroscettico acceso in tutto il Paese dall’estrema destra. 
Tuttavia, Berlino è tutt’altro che contraria a ristrutturare i debiti. Fu la cancelliera nel 2010 a imporre clausole collettive che sono ora incluse in tutte le emissioni di titoli pubblici e che evitano il tipo di contenziosi che hanno tanto complicato la ristrutturazione del debito argentino. Inoltre nei mesi scorsi su queste colonne abbiamo rivelato il piano del ministero delle Finanze tedesco che intende condizionare ogni richiesta di assistenza finanziaria da parte di un Paese dell’euro-area all’allungamento forzoso delle scadenze dei suoi titoli pubblici. Ancor più di recente, Wolfgang Schäuble ha posto la questione dei troppi titoli pubblici nei portafogli delle banche italiane e spagnole. Non solo un problema di stabilità finanziaria, ma anche un ostacolo a ogni ristrutturazione ordinata del debito (con troppi titoli pubblici in portafoglio le banche verrebbero annichilite da un default, affossando, anziché risollevando, il Paese indebitato).
In questa luce si comprende più facilmente perché Jens Weidmann sia arrivato a Roma il mese scorso a parlare di un debito pubblico italiano troppo alto, venendo scambiato per altro per il classico marziano a spasso per Villa Borghese. 
Non potendo più ricorrere come in passato ai giubilei o ai peccati di usura, l’euro-area deve costruire una procedura di revisione dei debiti. Saranno meccanismi graduali, per mantenere vive le condizioni che il paese deve rispettare, e quindi meno generosi di quanto chiede il Fondo monetario. Ma devono comunque essere risolutivi, tali cioè da evitare le incertezze degli ultimi anni. Proprio la tattica di “procrastinare e fingere” infatti ha avuto conseguenze tragiche per l’economia e la società greca. Con un meccanismo certo di ristrutturazione del debito, i titoli greci potrebbero essere acquistati dalla Bce. Per la prima volta da sette anni, l’economia greca avrebbe buone prospettive. 
I dettagli di un accordo andranno però studiati al microscopio per capire se rappresentano un precedente o un’eccezione. Si tratta di materia ultra-sensibile in cui delle due opzioni disponibili una assomiglia a un’incudine e l’altra a un martello. Disporre di una procedura regolata di ristrutturazione dei debiti può far crescere nei debitori la tentazione di accettare un default anziché decenni di sacrifici. La sola esistenza di questa tentazione può far aumentare i tassi d’interesse richiesti dai sottoscrittori di titoli pubblici. Tuttavia proprio l’esperienza greca ha dimostrato che è vero anche il contrario: senza procedure di ristrutturazione, il debito può continuare a ingigantirsi con un rischio sempre maggiore di default. Da questa impasse si esce risolvendo i problemi di informazione e coordinamento tra creditori e debitori. Il pluriennale pasticcio della crisi greca è esemplare per come non vada gestito il rapporto tra creditori e debitore, cioè in totale assenza di fiducia. Il recente intensificarsi dei rapporti tra Italia e Commissione europea proprio in materia di elevatezza del debito pubblico sembra invece percorrere una strada migliore. Viene messa in questione anche l’eccessiva rigidità delle regole sul debito adottate nel 2012. D’altronde sia Roma, sia Bruxelles, sia Berlino, sanno che le dimensioni del debito italiano non rendono gestibile una situazione di crisi. Vanno affrontate prima. Qualora la prima ristrutturazione di un debito pubblico dell’euro-area si materializzasse in Grecia, le cose cambierebbero per tutti i paesi. In particolare, senza un dialogo costruttivo sul debito pubblico italiano, i premi al rischio europei potrebbero aumentare. La questione va affrontata con lucidità: dal lato italiano rafforzando la fragile fiducia dei partner con comportamenti fiscalmente responsabili; dal lato europeo predisponendo le corsie di sicurezza, compresa quella dei titoli del debito comune. 
Ma naturalmente si può anche far finta di niente, in vista delle elezioni, dei referendum o di qualunque altra scadenza politica. Si può cioè “procrastinare e fingere”. Ma come il caso greco ha dimostrato implacabilmente, rinviare significa ingigantire i costi per tutti. Siano debitori o siano creditori.