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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

Per sapere cos’è il tennis vedi alla voce Wimbledon

Se non esistesse il torneo di Wimbledon il tennis sarebbe da un pezzo diventato un’altra cosa. In origine innovativo – alla fine dell’Ottocento —, con l’introduzione di una serie di varianti decisive all’arcaico regolamento dello sphairistike, il torneo è gradualmente diventato l’istituzione tennistica per eccellenza, supplente dell’incerta Federazione internazionale e delle sue emanazioni commerciali (oggi chiamate Atp e Wta) nella difesa della ragion d’essere di questo sport. La Regola, infatti, a Wimbledon continua a contare anche se è scomparsa da tutti gli altri tornei del circuito – perché la Regola è il Tennis, mentre tutto ciò che di eccentrico e anticonvenzionale viene architettato da giocatori, allenatori e sponsor è sostanzialmente un espediente per eluderla. Il tennis si gioca indossando una divisa bianca. Una partita di tennis può teoricamente durare all’infinito. Il tennis è un gioco di conquista del campo avversario. La volée e il passante ne sono, insieme al servizio, i fondamentali più importanti. Questi precetti, insieme a tanti altri, costituiscono la Regola, ma ormai da molti anni l’unico luogo in cui continuano a valere è Wimbledon. Probabilmente la deriva circense e iperatletica riuscirà prima o poi a vincere anche la resistenza offerta dal più importante torneo del mondo, ma fino a quel giorno, pur con le ferite che i parvenu continuano a infliggergli (le «invenzioni» becere come gli urli che accompagnano il colpo o il declassamento «politico», per montepremi e punti in palio, di tutti gli altri tornei su erba del mondo), ogni anno tra la fine di giugno e l’inizio di luglio sui campi dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club di Londra si mostra al mondo che cos’e il tennis. Soprattutto nella prima settimana, quando l’erba dei campi è ancora tale – prima che, per imposizione dei padroni del circuito, si trasformi in una specie di «erba battuta» che permetta ai grandi arrotini di vincere giocando da fondo campo —, sui diciannove campi di Wimbledon si vede quello che si deve vedere se si parla di vero tennis, e cioè: eleganza e completezza. Il punto più alto di questa supremazia Wimbledon l’ha conosciuto quarant’anni fa, quando l’indiscusso numero 1 del mondo, Björn Borg, modificò il proprio gioco per scrivere le pagine più leggendarie della sua carriera sull’erba londinese: lui, imbattibile da fondo campo su terra e cemento, rinforzò servizio e volée per vincere cinque volte di fila giocando il serve and volley. Era ancora il tempo in cui i tennisti, tutti, anche i professionisti, anche le star, condividevano un’idea precisa di questo sport della quale Wimbledon era, per l’appunto, l’emblema: oggi, al contrario, quell’idea condivisa non esiste più, interpretare la Regola con eleganza e completezza non è più un vantaggio ma spesso, al contrario, un handicap, e Wimbledon è diventata l’Eccezione: ma rimane molto meglio di tutto ciò che lo minaccia. Per rendersene conto bisognerebbe per una volta staccarsi dalla Tv e andare a vedere il torneo di persona: io l’ho fatto nel 1976 e ancora ricordo quel primo turno di doppio sul centrale, Newcombe-Roche contro Gottfried-Ramirez, come la più bella partita di tennis cui abbia mai assistito direttamente – per quell’armonia di rumori, gesti, colori e aspettative che accompagnava ogni singolo punto, roba che di solito rimane fuori dalle inquadrature televisive ma che è il vero, mitico habitat, anche solo mentale, di ogni tennista di qualsiasi livello. Perché puoi anche riuscire a tenere i pinguini fuori dall’acqua, se gli scodelli il cibo sulla rena due volte al giorno: ma non saprai mai cos’erano nati per fare.