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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

L’Europa unita, separata su tutto

Come tifosi di calcio, dopo una festosa «ola» di ringraziamento per la vittoria ai rigori in Austria, i signori Merkel, Hollande e Renzi torneranno tra qualche settimana a sedersi sugli spalti per assistere al derby di Londra, sì o no all’Europa in una partita secca, sperando che Iddio gliela mandi buona.
Il problema è che in campo dovrebbero esserci loro. L’alternativa alle secessioni europee, quella dell’Est, quella nordica, quella anglosassone, dovrebbero essere loro, i governi dell’Europa Carolingia, del nocciolo duro, dei Sei Paesi fondatori. In Gran Bretagna, come in Austria l’altro giorno, si dovrebbe votare per scegliere tra un progetto di integrazione e la voglia del passo indietro, mentre invece l’unico modello in campo è lo status quo. Un pessimo status quo, di fronte al quale anche uscire può apparire più conveniente che restare.
Non sono pochi, nei circoli colti delle capitali europee, nelle burocrazie di Bruxelles, a sperare segretamente che vinca la Brexit. L’idea è: così si chiarisce l’equivoco, l’Europa sarà più piccola ma più compatta, chi ci sta può ricominciare a correre senza dover aspettare i ritardatari. È una pia illusione. Questo mitico nucleo dei Sei fondatori, che dovrebbe riprendere il cammino cominciato a Roma nel 1957, non è più un nucleo, è diviso su tutto, come ha notato su Le Monde Arnaud Leparmentier. Per esempio sulla garanzia dei depositi bancari, che Francia e Italia vogliono e la Germania no.
Lo stesso accade s ugli immigrati, con Italia e Germania che vorrebbero modificare il Trattato di Dublino per non prenderseli tutti e la Francia che vuole lasciarlo così com’è per non prendersene nessuno; o sul rigore di bilancio, eluso da Francia e Italia ma praticato e predicato dai tedeschi; o sull’armonizzazione del fisco delle imprese, che Francia e Germania dicono di volere ma il Benelux contrasta per attirare le multinazionali.
Inglesi, ungheresi, polacchi, austriaci, saranno pure egoisti e cattivi, ma la crisi dell’Europa è cominciata con il no francese e olandese nei referendum del 2005, e i movimenti xenofobi sono nati in Francia, Danimarca e Olanda prima ancora dell’allargamento a Est.
C’è poco da fare: l’origine della crisi europea è lì, nel cuore del Vecchio Continente, più o meno tra le due cittadine di Maastricht e Schengen. Era lì, nell’officina franco-tedesca, riscaldata dall’europeismo italiano, che nascevano i modelli che tutto il continente ha voluto imitare, dando vita all’incredibile storia di successo dell’Europa unita, passata da Sei a Ventotto in mezzo secolo. È lì che oggi sta perendo «l’Unione sempre più stretta tra i popoli europei» promessa dai Trattati. E se a Londra vincerà il Bremain, la scelta cioè di restare, le cose non saranno affatto più facili, visto che avrà vinto un’idea di Europa opposta, che si ritaglia un gigantesco opt-out, sostituendo al progetto di integrazione politica una zona di libero scambio priva di responsabilità comuni, a partire dagli immigrati. Sarà in ogni caso, che gli inglesi escano o che restino alle loro condizioni, una tentazione irresistibile per i Paesi nordici, per i Paesi ex comunisti, e forse perfino per la Francia (già si parla di Frexit). Sarebbe comunque la dissoluzione.
Invece di vagheggiare quindi nuove mirabolanti architetture istituzionali, nuove figure di presidenti eletti e super ministri comuni, i signori Merkel, Hollande e Renzi farebbero bene a trovare un accordo anche su uno solo dei problemi che angosciano la loro gente (welfare, disoccupazione, migranti, sicurezza), e ad annunciare una cooperazione rafforzata, qui sì andando avanti con chi ci sta. Dimostrando insomma che esiste ancora una convenienza per questa Europa. Non hanno molto tempo. A marzo dell’anno prossimo ricorrono i 60 anni dai Trattati di Roma, e una celebrazione vuota sarebbe peggio di nessuna celebrazione. Nei mesi successivi votano i francesi, i tedeschi, e forse gli italiani. Qualcuno dei tre tifosi allo stadio di cui sopra potrebbe essere accompagnato all’uscita, prima ancora che la partita sia finita. Tutti e tre potrebbero perderla proprio per non averla voluta giocare.