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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

I primi cinquant’anni della McLaren

Cinquant’anni di F.1. Accadrà domenica, quando le McLaren di Fernando Alonso e Jenson Button prenderanno il via del GP di Monaco, mezzo secolo dopo il debutto di Bruce McLaren con una monoposto che portava il suo nome. Un evento importante per una squadra popolare e anche molto amata. Nessuno, però, il 22 maggio 1966, avrebbe potuto immaginare che la McLaren sarebbe diventata la più grande rivale della Ferrari su tutti i fronti: sportivi, politici, regolamentari, statistici e – un po’ – anche industriali. Perché stiamo parlando di un team che ha conquistato 20 Mondiali in F.1, trionfando anche a Indianapolis e in Can Am, dove il Cavallino non è riuscito a imporsi. E poi la dimensione: oggi la McLaren è un gruppo da oltre 3.200 persone che comprende società che producono auto stradali, tecnologie avanzate per applicazioni varie, sistemi elettronici e si occupa persino di marketing. A capo c’è Ron Dennis, 68 anni, portati divinamente. Il 50% del capitale azionario è di una finanziaria del Bahrain, la Mumtalakat, il 25% appartiene allo stesso Dennis e il restante 25% è della Tag Holdings di Mansour Ojjeh.
Quando la McLaren esordì a Montecarlo i dipendenti erano una decina (c’era una scritta sulla porta: «Non bussate, non abbiamo il tempo di aprirvi!») e il capitale sociale, risicatissimo, faceva capo a Bruce McLaren al quale si era da poco unito l’avvocato statunitense Teddy Mayer, il cui fratello Tim era deceduto tre anni prima in Tasmania mentre guidava una macchina della scuderia. La McLaren aveva un solo pilota, il suo titolare. Dopo il ritiro a Monaco, il primo punto arrivò alla gara successiva in Gran Bretagna, quando la McLaren montava un motore italiano, il V8 della Serenissima, piccola azienda di Giovanni Volpi di Misurata, figlio del conte Giuseppe fondatore del Festival del Cinema di Venezia. Due anni dopo la prima vittoria McLaren in Belgio, con Bruce alla guida.
Bruce McLaren era nativo di Auckland, Nuova Zelanda. Il padre Leslie, pilota per hobby, era proprietario di un garage, gente che stava bene. Bruce cominciò a fare qualche gara con una Mini Morris e poi via via con vetture sempre più potenti, sinché si trasferì in Europa, approdando in F.1 con la Cooper all’età di 21 anni. Una carriera brillante, quattro successi in F.1 e il trionfo alla 24 Ore di Le Mans, con Amon sulla Ford GT40. Ottimo pilota, non eccelso, McLaren era dotato di intuito tecnico e lungimiranza. Morì a soli 33 anni a causa di un incidente a Godwood, guidando una sua Can-Am. L’avvento di Mayer in azienda fu provvidenziale perché il team poté continuare ai massimi livelli, tanto da conquistare, quattro anni dopo, il primo Mondiale con Emerson Fittipaldi. Mayer era poco simpatico e poco socievole ma aveva competenza di business, uomini e macchine. A lui si devono il debutto in F.1 su McLaren di campioni come Gilles Villeneuve, Alain Prost, Jody Scheckter. Ma ebbe pure il pregio di uscire di scena al momento giusto quando, nel 1981, la Project Four – squadra che correva in F.2 – entrò nel capitale McLaren, acquisendo la maggioranza e portando uno sponsor-partner potentissimo, la Marlboro. La svolta. Da quel momento la McLaren s’inserì tra i grandi team con una innovazione che ha rivoluzionato il panorama delle corse: i telai in fibra di carbonio concepiti da John Barnard. Una soluzione imitata da tutti che mandò in pensione le strutture metalliche, più pericolose e deformabili.
Fu col telaio in carbonio che nel 1984 Niki Lauda conquistò il primo Mondiale della nuova era McLaren con un motore Tag-Porsche in virtù del fatto che uno dei soci del team, Ojjeh, si era accollato le spese di ordinare progettazione e costruzione di un propulsore turbo alla marca di Stoccarda. Con la McLaren hanno corso i più grandi: da Fittipaldi a Hunt, Lauda, Prost, Senna, Rosberg, Halkkinen, Raikkonen, Hamilton, Mansell, Surtees, Ickx e altri, più tre italiani: De Adamich, Giacomelli, De Cesaris mentre Emanuele Pirro si limitò a una serie di collaudi. Tantissimi i tecnici di prestigio, da Barnard a Herd a Coppuck, Murray, Alan Jenkins, Tim Wright, Oatley, Nichols, Newey, Tombazis, Coughlan, Goss, Paddy Lowe, Pat Fry sino agli attuali Prodromou e Andrea Stella.
Ron Dennis, visionario, carattere contorto, simpatia a corrente alternata, è stato (ed è) un leader indiscusso che ha regalato alle corse pagine indimenticabili grazie anche al coraggio di mettere insieme piloti destinati già in partenza a pestarsi i piedi. Lo fece con Lauda e Prost, andò avanti con Prost e Rosberg, poi ancora con Prost e Senna, per proseguire con Alonso e Hamilton in tempi più recenti. L’accoppiata Prost-Senna portò alla McLaren 6 titoli mondiali piloti, 56 pole position, 65 vittorie, regalando alla F.1 momenti emozionanti e spettacolari, sia nel bene sia nel male. Indimenticabile il 1988, con 15 affermazioni su 16 gare. Un ruolo importante lo hanno avuto anche i fornitori di motori, dalla Cosworth (18 anni) alla Tag Porsche (5), alla Mercedes (20), alla Honda che lo sta facendo per la settima volta. Due i momenti più spettacolari del mezzo secolo McLaren in F.1. Il primo è il trionfo di Senna con la McLaren-Ford nel diluvio di Donington ’93, quando Ayrton ridicolizzò i rivali sino a doppiarli tutti, salvo Damon Hill. E poi il sorpasso di Hakkinen (cui Dennis diede fiducia dopo il coma dell’incidente ad Adelaide) ai danni di Schumacher a Spa-Francorchamps 2000, con relativa vittoria.
Non ci sono però state solo rose e fiori. Basti ricordare il triste momento dello «Spygate» del 2007, quando emerse una storiaccia di dati trafugati alla Ferrari e passati all’azienda di Woking che costò la perdita dei punti accumulati dalla McLaren quell’anno, insieme con una multa-record da cento milioni di dollari. Alla fine Ron seppe uscirne, con un danno tremendo all’immagine nel momento in cui si stava consolidando il marchio nel campo delle vetture GT stradali, in concorrenza con la Ferrari. A tutt’oggi, la McLaren Automotive ha prodotto 7.500 auto, di cui 1.654 vendute nel 2015. In piena buriana «Spygate», nel 2007, la McLaren pensò poi di complicarsi ulteriormente la vita con una serie di ordini controversi dai box che finirono per favorire il debuttante Hamilton nei confronti di Alonso. E il Mondiale andò a Raikkonen con la Ferrari, per 1 solo punto su Fernando… Oggi Alonso è di nuovo in McLaren e con Dennis sono stati appianati i dissidi. È tornata pure la Honda, che non vince più come negli anni ’90 ma garantisce di essere sulla strada giusta. Chissà. Intanto godiamoci questo mezzo secolo di McLaren che, comunque sia, ha dato smalto alla F.1 scrivendone un pezzo di storia. I momenti bui, i panni sporchi ci sono e ci saranno per tutti, ma onore a chi ha saputo lasciarseli alle spalle, restando nella mischia e continuando a lottare con coraggio. Conta molto, in un ambiente (e un mondo) che premia solo i vincenti del momento, cancellando tutto il resto.