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 2016  maggio 24 Martedì calendario

Il pugno chiuso di Ken Loach nel deserto della sinistra

Se la sinistra sembra essere morta a perdita d’occhio planetaria, il gesto del pugno chiuso, al contrario, quasi per miracolo, è rimasto intatto tra di noi, come segno individuale di persistenza di un grande “NO! fosforescente”. E questo non è un dettaglio, né c’entra con un presunto “ottimismo della volontà”, come invece apparentemente, sentimentalmente potrebbe sembrare ai cocciuti convinti che i morti di ideologia possano tornare. La cronaca lo conferma. Poco oltre quarantotto ore fa, il regista inglese Ken Loach, maestro del cinema di denuncia poetica, per esempio, ha salutato la Palma d’oro conquistata al Festival del cinema di Cannes sollevandolo. Proprio il pugno chiuso, il suo, ed era un pugno chiuso ampio e chiaro negli intenti, pieno, fluorescente. Volendolo tradurre, sembrava dire: ribellarsi è giusto, siamo ancora qui a mettere in discussione l’esistente, non di solo gossip turbo-spettacolare si vive. Oppure, volendo prendere in prestito le parole del filosofo libertario francese Albert Camus: “Mi ribello, dunque siamo”.
La sinistra che, ingorda, pretendeva la rivoluzione è davvero trapassata, tuttavia l’idea della rivolta sembra invece intatta, fluo. La differenza tra rivoluzione e rivolta? Semplice a dirsi, la rivolta è individuale, appunto libertaria, anzi, umanamente parlando, liberatoria, ti restituisce a te stesso.
Nel pugno chiuso che fa ritorno al mondo c’è dunque un segno identitario, c’è resistenza, brillano, meravigliose, le idee di rivolta, le stesse che hanno nutrito il cammino dei cosiddetti “refrattari”. Ben oltre le ideologie andate a male, avariate, del “Secolo breve”, incontrando perfino la ribellione post-punk. Ora che ci penso, per esempio, per chi la rammenta, anche la Pussy Riot Nadežda Tolokonnikova, lì alla sbarra nella sua ingrata Russia, lo aveva sollevato qualche anno fa, abbinandolo a una t-shirt turchese sulla quale splendeva il motto “No Pasaran! “, “Non Passeranno”.
Qui allora un po’ di storia del saluto parrebbe necessaria. Il pugno chiuso sembra affermarsi nell’alfabeto politico gestuale della sinistra in modo evidente negli anni, appunto, della guerra di Spagna (1936-1939), diventando il saluto ufficiale (perfino militare) di quella repubblica abbattuta infine dai fascisti di Franco, un saluto immortalato in modo toccante anche da Robert Capa e Gerda Taro, dove il pugno chiuso non sembra mai sollevarsi oltre l’altezza della tempia. Verranno poi quelli dei funerali di Togliatti, e ancora di Berlinguer. Ci vorrà infatti l’arrivo degli atleti Tommie Smith e John Carlos con il loro omaggio alle Black Panther (Olimpiadi di Città del Messico, 1968) affinché il pugno appaia in cima al braccio interamente proteso verso l’alto. E non vorrei neppure dimenticare, per estensione di memoria e di assonanze, il caso assai più recente delle cadette afroamericane dell’accademia militare di West Point negli Usa che lo hanno mostrato nella foto di rito di fine corso. Determinando, oltre a uno “scandalo”, la repressione da parte dello stato maggiore militare.
Planando invece con la memoria sui nostri paraggi regionali, sebbene si tratti di un episodio degli anni Settanta, ricordo un manifesto che il Msi realizzò per denunciare la penetrazione “comunista” nei gangli vitali delle istituzioni nazionali, si trattava di una foto a tutto formato e così commentata: «I democristiani Granelli e Bodrato salutano “alla comunista” durante una manifestazione comunista» (sic). Effettivamente, i due esponenti della sinistra Dc di quel tempo, sì, che innalzavano sorridenti il pugno, ma forse si trattava di un semplice ciao, il mistero tuttavia è rimasto insoluto, per la gioia di chi ama giustamente pensar male lontano dal peccato. Ecco, la cronistoria è quasi finita, faremmo però torto alla completezza se dimenticassimo il pugno chiuso di Nelson Mandela e del suo African National Congress, un prato di pugni chiusi su quell’altro continente.
Ecco, siamo tornati nel deserto. È proprio vero che il conformismo, la subalternità, il silenzio davanti all’ovvio e all’ottuso, danno calore, restituiscono la sensazione di non essere soli, bensì al sicuro nella banalità delle idee correnti, dunque senza aver nulla da temere da parte dell’ordine costituito, vale perfino per i salotti questa regola, sia istituzionali sia letterari, ma pensate invece che meraviglia alzarsi all’improvviso, sollevare il braccio e dire al mondo che esiste un altrove, ossia la conquista della libertà, di se stessi. Il pugno chiuso, ben oltre le contingenze politiche, resta il evidenziatore gestuale d’amor proprio umano, ancor prima che filosofico.