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 2016  maggio 24 Martedì calendario

Ecco perché Erdogan è l’alleato sbagliato

Parole dure, minacce, ricatti: il colloquio Merkel-Erdogan ai margini del World Humanitarian Summit di Istanbul ha avuto tutte le caratteristiche fuorché quelle di una discussione dai toni umanitari, anzi è stato uno scontro tutto politico, anche se in gioco c’è la sorte di milioni di essere umani. L’Europa, ha detto il cancelliere, vuole collaborare con la Turchia nella crisi migratoria ma non farà sconti sul rispetto dei principi democratici. Erdogan ha replicato che è pronto a stracciare l’accordo con Bruxelles. 
Quello di Istanbul è stato un vertice dalle caratteristiche quasi paradossali: la Turchia accoglie 2,5 milioni di profughi siriani ma allo stesso tempo conduce una guerra non solo contro il Pkk ma nei confronti dei civili curdi, massacrati a Cizre e nei villaggi del Sud-Est. La Turchia non riceve soltanto i profughi, è anche un Paese in guerra contro la sua popolazione, all’interno, e sostiene fuori dai suoi confini un conflitto per procura contro Assad.
Vengono così al pettine i nodi della deriva autoritaria di Erdogan insieme alle contraddizioni dell’Europa, al punto che l’intesa sui migranti rischia di saltare. Il faccia a faccia tra la Merkel e il presidente turco non è andato molto bene come del resto era nelle premesse. La Merkel ha espresso a Erdogan la sua “forte preoccupazione” per la revoca dell’immunità parlamentare in Turchia e ha annunciato che l’esenzione dei visti dei cittadini turchi a partire dal 1° luglio dovrà essere rimandata. 
Questo rinvio era nell’aria: mentre a Bruxelles già frenava, il premier inglese Cameron, sotto pressione del referendum sulla Brexit, ha dichiarato che ci vorranno “decenni” per l’ingresso della Turchia in Europa. I turchi, fiutata l’aria, hanno messo le mani avanti e minacciano di stracciare l’accordo con la Ue accusando l’Europa di “doppio standard”. 
La Turchia ha stretto con la Ue un accordo per fermare il flusso di migranti verso l’Europa in cambio di una serie di incentivi tra cui l’abolizione dei visti. Ma Ankara deve soddisfare 72 criteri, dalla questione dei diritti umani alla libertà di stampa. Erdogan ha chiarito che non cambierà le leggi antiterrorismo, una della condizioni poste dall’Europa di fronte alla dura repressione contro con i curdi nel Sud-Est. «La Turchia potrebbe rivedere tutti i rapporti con la Ue inclusa l’unione doganale», ha affermato la presidenza turca. Su quello che deve a fare la Turchia per dare seguito alle intese con l’Unione ovviamente Ankara non ha detto una parola, nello stile del nuovo governo dove l’ex premier Ahmet Davutoglu è stato sostituito dal più malleabile Binali Yildirim, personaggio di secondo piano come quasi tutti quelli che ormai circondano Erdogan.
Del resto era chiaro che la svolta autoritaria di Tayyep Erdogan avrebbe complicato non poco i rapporti con l’Europa: la Turchia sta entrando in una nuova era in cui il dominio assoluto del presidente si sta consolidando a spese della democrazia, come dimostra il voto all’Assemblea nazionale con cui è stata tolta l’immunità parlamentare ai deputati. Rischia di essere spazzata via buona parte dell’opposizione, soprattutto quella del partito filo-curdo Hdp, con l’obiettivo di spianare la strada alla riforma costituzionale in senso presidenziale voluta da Erdogan per controllare, come ha ripetutamente affermato, il partito Akp, il governo, la magistratura, le forze di sicurezza.
Cosa accadrà adesso all’intesa sui migranti? È possibile che si apra un altro moncone di negoziato con la Ue che pensava di cavarsela rimbalzando i siriani dall’Egeo all’Anatolia. Il quotidiano britannico Guardian domenica ha pubblicato un editoriale di Erdogan in cui chiedeva all’Europa di accogliere una parte maggiore dei 3 milioni di rifugiati che secondo lui vivono in Turchia. Quanti? Almeno mezzo milione, dice Ankara. Lo stesso presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha ammonito che «un continente di 500 milioni di abitanti dovrebbe essere in grado di integrare 2 milioni di rifugiati». Belle parole ma la solidarietà europea, sotto le pressioni populiste, è già ai minimi non solo per motivi economici e sociali ma per i nodi politici irrisolti nei rapporti con il Mediterraneo e il Medio Oriente affrontati attraverso guerre per procura e gli alleati sbagliati come appunto Erdogan.