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 2016  maggio 24 Martedì calendario

L’agenda del futuro capo di Unicredit

«C’è una preoccupazione crescente tra gli investitori che riguarda in modo particolare la capacità del management dell’istituto di passare dai piani alle azioni, dalle parole ai fatti. Credo che chiunque arrivi al posto di Federico Ghizzoni dovrà rassicurare innanzi tutto su questo punto». Un gestore di fondi basato a Londra riassume così il travaglio della seconda banca italiana, l’unica di rilevanza sistemica globale.
Un compito che prescinde dal rafforzamento del capitale, dalle strategie e dai piani industriali e che ha più a che vedere con il recupero della credibilità dei mercati, minata da una serie di scelte non gradite, complesse o controverse. Un piano industriale presentato e poi «rivisto» dopo sei mesi, l’accordo con Santander per i fondi di Pioneer annunciato un anno fa e non ancora completato, la garanzia sull’aumento di capitale della Popolare di Vicenza, «che sarà stata certamente gestita correttamente dal punto di vista formale, ma ha aperto un problema reputazionale del quale una banca di quelle dimensioni non può non tener conto», spiega un banchiere d’investimento. Proprio la storia della Popolare di Vicenza, con l’accordo di pre-garanzia per l’aumento da un miliardo e mezzo sottoscritto in settembre da Unicredit e ritirato in marzo facendo valere la clausola dell’andamento dei mercati, ha dato la spinta finale a Ghizzoni, al quale già tra dicembre e gennaio scorso erano arrivate le lamentale dei soci per l’andamento deludente del titolo in Borsa e per un piano industriale che non aveva convinto in pieno.
Adesso, chiunque arriverà dovrà fare i conti con questo «clima», si spiega. Una ricostruzione della fiducia che passa attraverso due priorità, dice l’analista di Barclays Marta Bastoni: «Il capitale e la profittabilità. Con il rischio che aumentando il primo diminuisca la seconda». L’ipotesi di recuperare capitale con le cessioni di partecipazioni infatti priverebbe il gruppo delle attività più redditizie.
La controllata polacca Bank Pekao, uno degli asset del quale si è ipotizzata la vendita, consentirebbe da sola di recuperare tra i 90 e i 100 punti di Cet1, il capitale di migliore qualità a garanzia degli impieghi che è la misura principale dello stato di salute di un istituto bancario. Ma priverebbe il gruppo di una delle attività più redditizie, diminuendo così quella profittabilità che il mercato già adesso vede come dei fattori di debolezza dell’istituto.
L’attenzione più elevata è però quella sul capitale. Il ricambio al vertice viene visto come una chiara indicazione di un prossimo aumento di capitale, come sottolinea da giorni il broker Exane nelle sue note quotidiane sui mercati. Le cifre sono estremamente distanti: si va dai 5 miliardi della stessa Exane fino a 9 miliardi.
Attualmente, il Cet1 di Unicredit è del 10,8%. Superiore a quanto richiesto dalla Bce (10%). Il problema è che la media delle principali banche europee è del 14%. Per arrivare ad un più accettabile 12,5% servono almeno 6 miliardi. È quella fiducia del mercato che solo una forte discontinuità nella gestione può dare.