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 2016  maggio 24 Martedì calendario

La giustizia impari dagli errori commessi sull’infermiera Fausta Bonino

«Prima di arrestare le persone, bisogna arrestare le prove». I vecchi investigatori non si stancano mai di ripetere questa regola aurea, nata quando la tecnologia non aveva ancora invaso le aule di giustizia. I canoni del processo moderno hanno rafforzato questa necessità, ribadita dall’obbligo di sottoporre ogni elemento al contraddittorio tra accusa e difesa. Invece nel caso di Piombino tutto sembra essere stato disatteso.
Una donna è stata presentata come assassino in assenza di indizi mentre il responsabile degli omicidi rischia di restare senza nome. Perché in questo pasticciaccio c’è una sola certezza: almeno quattro pazienti sono stati uccisi.
E nell’ospedale toscano ci sono medici che avevano sospetti da anni, ma non hanno fatto nulla per impedire la strage.
L’arresto di Fausta Bonino è stato annullato da tre giudici del Riesame che vantano una tradizione di rigore garantista; non hanno mai ceduto alle lusinghe mediatiche, neppure quando negarono il carcere per capitan Schettino incuranti del clamore mondiale per il disastro della Concordia.
È normale che magistrati abbiano visioni diverse, ma le conclusioni del Riesame vanno oltre la fisiologia del processo. Descrivono indagini frettolose, partite dopo due anni di sospetti rimasti nel silenzio mentre altre persone morivano misteriosamente. E scaturite in un arresto quando la presunta assassina non poteva comunque più nuocere, perché era stata allontanata dalla corsia.
Non sono state piazzate telecamere nel reparto dei delitti, non c’è stato il tempo per realizzare perizie sulle cause delle morti e solo ieri la procura ha chiesto l’esame incrociato delle telefonate.
In compenso, la cattura dell’infermiera è stata trasformata nell’operazione “killer in corsia”, uno show televisivo con tanto di inutile perquisizione negli armadietti dei farmaci ad uso delle trasmissioni di cronaca nera che vanno in onda ad ogni ora. Adesso Fausta Bonino vuole tornare al lavoro: in base ai regolamenti è un suo diritto, anche se resta l’unica indiziata. E soprattutto i familiari delle persone uccise nel settore più delicato di un ospedale pubblico vogliono sapere chi è il colpevole degli omicidi e chi non ha protetto i loro cari. Una brutta pagina della giustizia italiana, che deve servire da lezione.