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 2016  maggio 13 Venerdì calendario

Le foreste bruciano. Cause e conseguenze

Novantamila evacuati sono fuggiti nel panico e hanno lasciato dietro di sé tutto quel che avevano. Un’intera città è semi-distrutta come da un bombardamento a tappeto. Non è una guerra in Medio Oriente, è il bilancio di un incendio in Canada. Nonostante una mobilitazione senza precedenti dei vigili del fuoco, “il padre di tutti gli incendi” che per dieci giorni ha devastato Fort McMurray nello Stato di Alberta sarà ricordato a lungo. O forse no? I record degli incendi ormai durano poco. «Dobbiamo aspettarci che queste calamità diventino sempre più frequenti», dice lo scienziato forestale Marko Princevac della University of California.
Dalla Siberia all’Australia, dall’Alaska alla California, a ogni stagione le fiamme si levano più alte, l’estensione delle foreste carbonizzate si allarga. La foresta boreale (cioè subartica) in particolare, sta arretrando sotto l’avanzata del fuoco. Gli scienziati sono concordi: è un’altra conseguenza del cambiamento climatico. Non è prudente dirlo in Canada, petro-Stato dove la lobby petrolifera è ancora più potente che negli Stati Uniti, e la campagna negazionista sul cambiamento climatico zittisce gli avversari. I giornalisti canadesi che hanno osato sollevare questo tema durante l’incendio di Fort McMurray sono stati attaccati come “sciacalli”, accusati di speculare sulle tragedie.
Negli Stati Uniti il coro degli esperti è unanime: gli incendi diventano sempre più frequenti, più lunghi, più catastrofici, «perché il cambiamento climatico riduce le difese naturali» secondo la U.S. National Academy of Sciences. È una spirale perversa: a loro volta gli incendi creano nuovo inquinamento e nuove emissioni di CO2, riducendo le foreste uccidono i polmoni del pianeta. Gli alberi vivi sono fabbriche di ossigeno e “assorbenti di CO2”; quando bruciano si trasformano nell’esatto contrario. La National Oceanic and Atmospheric Administration, agenzia federale responsabile per le rilevazioni meteo, documenta che «le sei peggiori stagioni di incendi forestali nella storia contemporanea si sono tutte verificate dopo il 2000». Un altro studio della National Academy of Sciences, pubblicato dalla rivista Scientific American, proietta il confronto su tempi ancora più lunghi. La conclusione: «Le foreste boreali stanno bruciando a una velocità che non ha precedenti negli ultimi diecimila anni». Il ritmo di peggioramento sta diventando esponenziale, l’accelerazione si concentra nel periodo recente: «È negli ultimi 50 anni che la frequenza dei grandi incendi è raddoppiata». Nello stesso periodo, in quasi tutte le regioni del mondo la durata della “stagione dei fuochi” si è allungata. «78 giorni in più ogni anno», calcola l’ultimo rapporto dello U.S. Forest Service.
Quasi in contemporanea con il maxi-incendio di Fort McMurray, il Global Snow Lab della Rutgers University ha reso noto un rapporto sulla ritirata dei ghiacci e delle nevi artiche. È proprio il Grande Nord ad essere il più vulnerabile, perché lì l’aumento della temperatura planetaria è più pronunciato e provoca sconvolgimenti immediati. La ritirata dei ghiacci e delle nevi perenni dalle regioni nordiche è una condanna per la foresta boreale. Dalle regioni nordiche di Canada e Stati Uniti, fino alla Scandinavia, alla Siberia e alla Mongolia, la foresta boreale contiene il 30% di tutta l’anidride carbonica del pianeta, “cattura” il CO2 dentro gli alberi e così lo sottrae all’atmosfera. Ma proprio le foreste boreali del Grande Nord diventano più facilmente combustibili se le nevi si ritirano e viene meno il manto protettivo del freddo. Solo in Russia, in un anno arrivano ormai a bruciare fino a 28 milioni di ettari di foreste. E i mezzi per combattere la furia del fuoco sono sempre meno adeguati. Lo U.S. Forest Service, costretto a fronteggiare un raddoppio degli incendi nell’ultimo decennio, ha un budget rimasto fermo e non riesce a tener dietro ai suoi impegni. Per un’amara ironia, sia Fort MucMurray sia l’Alaska e altre zone colpite dai maxi-incendi degli ultimi anni, sono state anche tra le più “trivellate” dalle compagnie petrolifere in cerca di nuovi giacimenti.