La Gazzetta dello Sport, 6 maggio 2016
Parte il Giro. Nibali contro tutti
Bici ipertecnologiche, allenamenti sofisticatissimi nei quali, dalla frequenza cardiaca alla potenza, tutto viene monitorato ed esaminato nei dettagli. La scienza nel ciclismo, dal record dell’Ora di Moser in poi, ha avuto un ruolo sempre più importante. Però restano le sensazioni. Vivono e si alimentano in un mondo aleatorio, ma hanno il potere magico di modificare lo stato d’animo del corridore. Forse nessun ciclista saprebbe spiegare bene di cosa si tratta. Però basta guardarli in faccia quando te ne parlano e capisci. A volte le «sensazioni» sono così forti da prendere il sopravvento proprio sui dati che arrivano dalla scienza.
Vincenzo Nibali, per esempio, alla vigilia del Giro edizione numero 99. Mercoledì era teso, nervoso. Il Trentino, gli aveva lasciato dentro un malessere che alimentava il dubbio di non essere all’altezza. Lui è qui al Giro con un unico obiettivo in testa: vincere. «Sai se non vinco che figuraccia», confidava con poca voglia di parlare dopo la sgambata con aria cupa. Sensazioni negative. Ieri, dopo il caffé di rito sul bus della squadra, aveva tutto un altro aspetto: sorridente, rilassato. Sensazioni positive.
Nibali, che cos’è il Giro?
«Il Giro è tutto, è la corsa che mi ha lanciato. È la corsa che mi teneva incollato davanti al televisore da ragazzino. Bugno e Chiappucci, Pantani, un’icona indelebile. A volte persino fonte d’ispirazione. Poi è la corsa in cui la gente mi vuole: persino dopo la vittoria del Tour i tifosi mi dicevano: “Ok, bravo. Ma ti vogliamo al Giro”. Eccomi! E anch’io sentivo la mancanza di questa corsa».
Si ricorda il primo giorno rosa?
«Certo, anche se non ero lì per correre. Il 5 maggio 2005 il Giro partiva da Reggio Calabria e io facevo parte della Fassa. Ferretti mi chiese se volevo stare con la squadra un paio di giorni. Bellissimo e grandissimo».
Manca al Giro da domenica 26 maggio 2013. Quasi tre anni da quella magica domenica rosa in piazza della Loggia, a Brescia.
«A volte chiudo gli occhi e rivedo il film. Tantissima gente, così vicina che mi poteva toccare. Mio padre incontrato in strada mentre andavo alla premiazione. Ero commosso, un’emozione fortissima e indimenticabile. La realizzazione di un sogno che coltivavo fin da bambino. L’immagine del podio al Giro e quella del Tour a Parigi con l’Arco di Trionfo sono i ricordi più preziosi della carriera. In fondo ne ho fatta di strada da quando ragazzino sono partito da Messina per andare a Mastromarco».
Chi era allora Vincenzo Nibali?
«Un ragazzo che, spinto dalla gioventù, cercava qualcosa di nuovo. Mi avventuravo in un terreno inesplorato e lo facevo con un forte senso di sfida». Poi Vincenzo, con il sorriso che s’illumina, comincia a raccontare. «In Sicilia ero un ragazzino che ne combinava di tutti i colori. Quando mi stufavo, scappavo da scuola per andare a casa. Avevamo un paese a disposizione: Venetico Superiore. Con i miei amici ci tiravamo addosso i fichi d’India, giocavamo a nascondino in venti-trenta, ci buttavamo giù in discesa con la Bmx e facevamo la gara a chi faceva le sgommate più lunghe. Non riuscivo a stare fermo. Esperienze che hanno formato il mio carattere, affinato lo spirito di sopravvivenza, che mi hanno insegnato a essere più scaltro. Altro che la playstation… Invece, la bici era uno sfogo, provavo un senso di libertà. Mi divertivo e mi diverto ancora oggi. Sempre, tutti i giorni che ci salgo».
Nel Giro 2013 lei è stato autore di un’impresa leggendaria sulle Tre Cime, nella bufera di neve.
«Una giornata pazzesca. Ma poi freddo e neve li abbiamo presi anche nella cronoscalata della Polsa e a Bardonecchia. Eppure il gruppo è andato avanti lo stesso. La gente vuole quello, si appassiona così».
Che Giro sarà?
«Molto difficile da interpretare. Già le prime tappe non sono semplici. Da Catanzaro a Roccaraso, primo arrivo in salita, sono tappe sempre più nervose».
Roccaraso il primo vero test?
«Credo di sì, anche se non è difficile. Sono andato a vedere il finale, non lo conoscevo. Un test importante sarà la crono del Chianti. Bisognerà essere bravi a interpretarla bene. Inganna, perché potrebbe sembrare veloce per le discese. Però ci sono anche tanti tratti in salita, tanti cambi di ritmo. Sarà il primo setaccio. Ad Arezzo, con lo sterrato, si dovrà correre a occhi aperti, c’è il rischio di disunirsi».
E la tappa friulana a Cividale?
«Non la conosco, ma Martinelli l’ha studiata bene».
Più importanti Dolomiti o Alpi?
«Difficile dirlo. Nell’ultima settimana emerge chi sta meglio».
Cosa chiede ai suoi dell’Astana?
«Lealtà, che prima di tutto deve arrivare da me. Tra noi ci deve essere comunicazione, il gruppo deve essere unito».
Metta in fila i rivali.
«Landa, Valverde, forse Chaves. Anche Dumoulin, secondo nella crono del Romandia, è in forma crescente».
Landa lo conosce bene.
«Ma neanche più di tanto, non abbiamo corso molto assieme all’Astana. È il più scalatore di tutti. A mio vantaggio ho le crono che lui non ama proprio. Però magari sarà migliorato…».
E Valverde?
«Un campione che non molla mai».
È vero che dopo i trionfi ha fatto regali importanti ai compagni?
«Beh, dopo la Vuelta ho regalato un Rolex, dopo il Giro le vacanze e dopo il Tour un braccialetto con diamanti e zaffiri. Eppure non tutti sono stati contenti. Lasciamo perdere».
L’impressione è che un Nibali al top sia imbattibile su questo percorso. Lei come si sente?
«Punto di domanda. Però sono consapevole di avere lavorato molto e bene. I numeri sono buoni, ma questi sono importanti fino a un certo punto».