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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

Il lento declino della Virtus Bologna. La squadra di Basket City è finita in A2

Bianconera come la Juve, vecchia signora di quindici scudetti e quattro coppe europee, la Virtus Bologna dall’altra sera non abita nemmeno più nella serie A del basket, dove già da tempo non stravinceva, limitandosi a sopravvivere di stenti e micragne. Ultima in un campionato di tetra modestia, avvilita da una fragilità che pure non l’ha spaventata fino all’ultimo mese di torneo, perché mai si pensava che l’affronto della prima storica retrocessione ne avrebbe toccato l’alone di prestigio, la Virtus va ad unirsi in A2 alla Fortitudo, l’altra metà di quella che solo i pigri stereotipi di chi vive lontano da qui si ostinano a definire ancora Basket City. Se mancava il derby, antico feticcio locale ben rivenduto al romanzo nazionalpopolare, se ne riavrà uno dei poveri, a meno che l’ascensore che ha fatto inabissare la Virtus non incroci quello che riporta in A la Fortitudo, che sta lottando nei playoff.
Del resto, lo sport vive pericolosamente, nella città dove a riacciuffare il calcio dalla B e da un possibile fallimento è dovuto arrivare un miliardario canadese, Joey Saputo. Ma i cavalieri bianchi non sono fitti neppure fra Due Torri e Pavaglione, a soccorrere due società che furono entrambe radiate per debiti (la Virtus nel 2003, la Fortitudo nel 2012), e solo attraverso percorsi tortuosi sono tornate a respirare: non a spendere e spandere, come in età imperiale, ma almeno a santificarci le feste, sotto due canestri. Pareva anzi che il peggio la vecchia Virtus l’avesse valicato quando, nel 2012, fu varata la Fondazione che oggi ne detiene la proprietà: fusione di denari delle antiche coop “rosse” e di imprenditori privati nell’orbita del club, la formula pareva destinata ad assicurare inevitabili risalite. Oggi, nella città tifosa che più spesso celebra anniversari che vittorie (un mese fa i quarant’anni dello scudetto ’76, con riunione a tavola dei vecchioni), la Fondazione è evocata come un ente da abrogare. Lanciato un aumento di capitale, nessuno v’ha infatti aderito, molti degli stessi “fondatori” si sono defilati e oggi il presidente Pietro Basciano, industriale siculo stanziato sul territorio, dirà in quali modi la società affronterà un futuro nebuloso. Si farà la conta degli oboli, si aspetterà una mano pure da Joe Tacopina, l’avvocato americano entrato ed uscito da Roma e Bologna calcio, oggi al Venezia, disposto a guardare i conti, ma forse già troppo, altrove, affaccendato. E intanto, mentre la calda tifoseria Fortitudo ha inscenato, la notte delle sentenze, caroselli davanti al palasport, quella virtussina ha dovuto rimpiangere perfino le remote giornate di Cantù, quando nel 1971 si salvò dalla B in uno spareggio a tre, e da lì ripartì, come idea meravigliosa dell’avvocato Gigi Porelli, verso orizzonti di gloria. Avvezzi ai tempi a ostriche e champagne, i tifosi virtussini appaiono all’indomani della caduta più esausti che furenti, sfiniti da anni di mediocrità. L’ultimo anno dorato data al 2001: fu triplete, ossia scudetto, Coppa Italia ed Eurolega, con Messina e Ginobili, Griffith e Jaric, Rigaudeau e Smodis. Quella sì, era Basket City.