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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

Mehrawi Kudus, il primo eritreo a correre il Giro d’Italia

Storia di Mehrawi Kudus, detto Meraviglia. Nato ad Asmara, la seconda capitale più alta d’Africa, nel 1994, quattro fratelli, una sorella, scalatore da 58 kg. Promessa, possibile fenomeno, una sola vittoria, al Tour dell’Eritrea, sotto casa.Lui è qui che sogna: «Io al Giro d’Italia, me l’avessero detto tre anni fa...». È il primo eritreo a mettere le ruote sull’asfalto della corsa rosa, era stato il primo assieme al compagno di squadra Daniel Teklehaimanot, a farlo al Tour. L’altro, detto Tek, più esperto e alto, aveva anche indossato la maglia a pois ed era stato il primo dell’Africa nera a farlo. Kudus vorrebbe qualcosa che non sa, ma lo sa bene: «Sono qui per fare bene il mio mestiere, sono uno scalatore, vado forte quando la strada s’impenna, vorrei vincere una tappa, vorrei entrare in qualche fuga, fare classifica sarebbe troppo». Meraviglia, lo chiamano così i compagni della Dimension Data, l’ex Qhubeka, la creatura di Douglas Ryder che con più munifico sponsor dal 2016 è balzata nel World Tour e s’è meritata anche, oltre a tutto il resto, il Giro.Meraviglia ha occhi e capelli nerissimi, e riccioli che sembrano spuntati da uno dei racconti di Sherazade. Impressiona la sua piccolezza, anche se i ciclisti sono quasi tutti così. Ha un profondo taglio in mezzo agli occhi, lascito di una vecchia caduta. Potrebbe correre i 10.000 o la maratona e invece gli hanno dato una bici, a Aigle, quelli del Centro Mondiale del ciclismo, la scuola per giovani promesse con poche possibilità, e hanno detto pedala. «La usavo, da ragazzo, per andare a scuola, mi appassionava, poi nel 2013 sono stato notato alla Tropicale Amissa Bongo, e sono finito nel Centro, mi sono allenato bene, ho trovato una mia dimensione». In fondo è un esperimento, Mehrawi, diventato una bellissima storia. Un suo vecchio direttore sportivo ha detto: è leggero, ha una capacità di recupero straordinaria, una cadenza di pedalata fenomenale. Parlava di Kudus, non di Froome, e poi Chris, a 22 anni, nemmeno era professionista. «In Eritrea il ciclismo è secondo solo all’atletica in quanto a popolarità, e poi io, Tek e Berhane siamo popolarissimi». È arrivato 10° al Giro dell’Emilia, sul San Luca, «una salita simile ad alcune intorno Asmara, toste da spaccarti le gambe». Oggi nella cronometro dovrà difendersi, nel vento e sul piano soffre, le sue tappe vengono più avanti, «se penso a Corvara mi vengono i brividi», però il ciclismo, più che una passione «per me è un lavoro, mi guadagno il pane e do da mangiare alla mia famiglia». Più che parlare sorride. Più che vincere sarà per lui l’esserci. «Chiamerò casa ogni sera». Non sapete, ho scalato il Pordoi. Resisti Mehrawi, anche solo per questo resisti.