la Repubblica, 6 maggio 2016
Nao, il robot che riconosce le persone e risponde alle domande grazie a Watson. Elementare?
Watson, l’intelligenza artificiale della Ibm, ora ha un corpo. Quello di un robot alto 60 centimetri, Nao della francese Aldebaran Robotics, per la prima volta dotato delle capacità cognitive di un super computer. Quello stesso super computer che già sei anni fa aveva battuto l’uomo in un quiz show televisivo. Può consultare informazioni online al ritmo di 300 pagine al secondo, riconoscere cose, persone, espressioni, suoni, odori. E può rispondere a domande complesse. Basta sia connesso alla Rete e ai server sul cloud della multinazionale americana. Watson insomma inizia a camminare nel mondo. Lo abbiamo incontrato a Milano, dove la Ibm ha deciso di investire 150 milioni di dollari in un centro di ricerca che porterà il suo nome. Si è presentato sul palco, durante un evento per addetti ai lavori, in compagnia di Michelle Unger, della divisione Cognitive computing. Voce sintetica dal timbro infantile, ha analizzato i dati di chi si era registrato elencando le diverse professioni in percentuale. Poi si è messo a dare consigli alla Unger, suggerendole di andare a cena al ristorante di Carlo Cracco, e offrendo un’alternativa più economica di gran moda sui social. Difficile capire quanto di tutto ciò fosse stato preparato, ma certo ha fatto sembrare gli assistenti personali dei nostri smartphone vecchi di anni.
«Quel che lei ha visto era il presente non il futuro», ha sottolineato la Unger. «Il bello? Adesso possiamo applicare la potenza di Watson a strumenti e dispositivi sempre più economici». L’unione di intelligenza artificiale e androidi apre nuove prospettive. Secondo la società di ricerca Idc, nel 2019 il mercato dei robot varrà 135 miliardi di dollari con una crescita annua sopra il 17 per cento. Soprattutto in Asia, fra Giappone, Corea del Sud e Cina, dove viene speso il 69 per cento del denaro che ruota attorno ai robot. Per lo più si tratta di robot impegnati nell’industria. Basti pensare ai Kiva di Amazon o alla Boston Dynamics di Google. La novità infatti sta nel loro arrivo fra noi. «In Giappone c’è stata una accelerazione nell’ultimo anno, da quando è arrivato sul mercato il robot maggiordomo Papper creato della Aldebaran Robotics (la stessa di Nao, ndr) per la Softbank», racconta al telefono Maholo Uchida, curatrice al Museo della Scienza e della Tecnica di Tokyo, il Miraikan, dove da 15 anni si esibisce Asimo, il robot della Honda. «Costa duemila euro circa e ne hanno già venduti 20mila. Metà acquistati da privati. È il segno dell’uscita dai laboratori di ricerca». Pepper è un assistente personale, accoglie clienti nelle banche o assiste anziani nelle case. E, guarda caso, userà presto l’intelligenza di Watson. Come Connie, il concierge sintetico che l’Hilton sta sperimentando ad Austin, in Texas.
Bart Selman, che insegna computer science all’Università Cornell, prevede che nei prossimi trent’anni metà degli impieghi saranno a rischio per colpa di Nao e compagni. Elon Mask, Bill Gates e Stephen Hawking sono preoccupati che prima o poi l’intelligenza artificiale si evolva a tal punto da superare quella umana. L’incubo è quello dipinto in 2001 Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick, Terminator di James Cameron, Ex Machina di Alex Garland. Del resto il computer assassino del film di Kubrick si chiamava Hal. Acronimo scelto partendo da quello della Ibm, risalendo di una posizione nell’alfabeto. Tutto quel che è nuovo fa paura e la paura è un sentimento reazionario, sostiene Stephen King. Vero. Solo che stavolta a spaventarsi sono stati nomi di peso del mondo della scienza e della tecnologia.