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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

Le misure in difesa delle banche italiane, tutte fatte con una pistola puntata alla testa

C’è un dato comune negli interventi a sostegno del sistema bancario italiano degli ultimi mesi. Sono stati tutti fatti con una – metaforica – pistola puntata alla testa. La risoluzione della Popolare dell’Etruria e di altre tre banche è stata decisa dopo che le trattative per la bad bank con Bruxelles andavano avanti da oltre un anno senza frutti e solo poche settimane prima che scattassero le nuove regole europee sul bail-in che avrebbero coinvolto anche i correntisti delle banche in crisi.
La stessa bad bank, destinata a farsi carico dei crediti bancari di scarsa qualità, è arrivata solo a inizio 2016, dopo un estenuante negoziato con la Commissione Ue nella quale la maggior parte delle richieste italiane sono andate deluse: il vento era cambiato e le garanzie pubbliche che in passato erano ammissibili in operazioni di questo genere adesso non potevano più esserci.
Meno di un mese fa è stato varato il fondo Atlante – 4 miliardi versati in grandissima parte dalle stesse banche per sottoscrivere aumenti di capitale e acquistare crediti deteriorati – nelle stesse ore in cui si capiva che l’aumento di capitale da 1,5 miliardi della Popolare di Vicenza non avrebbe trovato alcuna accoglienza sul mercato e bisognava quindi correre ai ripari.
Adesso, mentre lo stesso Atlante si prepara a intervenire anche in Veneto Banca, ci si accorge che la sua dotazione difficilmente basterà alle esigenze di un sistema bancario più acciaccato di quanto abbiano lasciato intendere le dichiarazioni ufficiali degli ultimi anni. Ecco così che gli istituti di credito si preparano a rifinanziare il loro fondo volontario per una cifra che oggi ammonta a 300 milioni, ma che potrebbe raddoppiare, per far fronte a possibili esigenze di capitale di altre banche più piccole. E la stessa funzione fondamentale del fondo Atlante, ossia quella di creare un mercato per i crediti deteriorati che appesantiscono i bilanci delle banche, appare già ridimensionata dal soccorso prestato alle banche venete: il pronto soccorso vince sulla terapia riabilitativa.
Inutile criticare – si può rispondere a queste osservazioni – si tratta di fondi privati, versati dalle stesse banche che si accollano quindi il peso degli interventi per aiutare i loro colleghi-concorrenti. In effetti, che l’Italia non abbia speso soldi pubblici per le banche non è un male: i salvataggi di Stato non sono mai edificanti e i soldi dei contribuenti possono – almeno in teoria – essere indirizzati meglio. Ma i possibili corollari di questo mancato intervento pubblico appaiono più preoccupanti. In primo luogo il fatto che lo Stato non sia mosso ha reso più difficile esporre al giudizio dell’opinione pubblica e mettere in discussione assetti di potere consolidati – a livello di azionisti e di manager – che in alcuni casi hanno condotto gli istituti dritti nel baratro. La decisione dei soci della Popolare di Vicenza di non procedere con un’azione di responsabilità verso i passati vertici dell’istituto è la migliore rappresentazione di questo grande imbarazzo nel fare i conti con il passato. Inoltre è difficile calcolare se gli effetti depressivi di lunghe crisi bancarie – in particolar modo nell’erogazione del credito – non risultino alla fine più dannosi per l’economia italiana di quanto non sarebbe stato un intervento pubblico una tantum.
Quel che è certo è che con la pistola puntata alla testa è difficile prendere le decisioni più sagge e che in molti casi l’Italia non ha saputo o voluto rappresentare adeguatamente i propri interessi. Vale per l’infinita trattativa a Bruxelles sulla bad bank come per le regole del bail-in che ieri il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha criticato.