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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

Magistrati ma anche legislatori, psicologi, sociologi, antropologi, sacerdoti della morale, combattenti della libertà. Come negli anni di Mani pulite

La disinvolta offensiva offerta al Foglio (poi smentita, ma senza pieno successo) da Piergiorgio Morosini, componente togato del Consiglio superiore della magistratura, dà il perfetto seguito alla disputa sull’esuberanza di giudici e pm, d’improvviso urgente dopo i giudizi morali e politici espressi sull’arrestato sindaco di Lodi, Simone Uggetti. Commentatori e parlamentari si sono domandati quali titoli diano diritto al gip di definire «abietto» l’indagato e per iscriverlo nel registro dei «traditori» del mandato popolare. Adesso arriva Morosini ad annunciare l’impegno nei comitati per il no al referendum con l’imprescindibile missione di fermare le fregole autoritarie di Matteo Renzi. L’interpretazione un po’ estensiva del ruolo – magistrati ma anche legislatori, psicologi, sociologi, antropologi, sacerdoti della morale, combattenti della libertà – non è recentissima, e nell’indifferenza generale toccò le vette durante gli anni di Mani pulite. Il gip di Milano, Italo Ghitti, disse che «il nostro obiettivo non è rappresentato da singole persone ma da un sistema che cerchiamo di ripulire»; il sostituto Gerardo D’Ambrosio che «il grande merito» del suo pool era di «aver portato avanti le indagini così rapidamente che (...) la gente quando è andata a votare non ha più eletto quelle persone»; il collega Piercamillo Davigo fu solenne: «Stiamo processando un regime». Da allora è diventato piuttosto infruttuoso precisare che la magistratura processa i rei e non i regimi o, per fare filosofia spiccia, combatte i corrotti e non la corruzione.
Che oggi si ragioni attorno alle ordinanze lodigiane e all’intervista di Morosini è buona cosa, come lo è ricordare che è abitudine dei magistrati dare giudizi non strettamente penali sugli imputati. Celebre è il «criminale matricolato» rivolto a Bettino Craxi da Paolo Ielo (che subito se ne scusò) e, fra le ultime escursioni in vari campi delle materie umanistiche, insuperabile è quella di Ilda Boccassini: Ruby «è una giovane di furbizia orientale che come molti dei giovani delle ultime generazioni ha come obbiettivo entrare nel mondo spettacolo e fare soldi, il guadagno facile, il sogno italiano di una parte della gioventù che non ha come obiettivo il lavoro, la fatica, lo studio ma accedere a meccanismi che consentano di andare nel mondo dello spettacolo, nel cinema». Ruby, e cioè l’amante minorenne di Silvio Berlusconi, qualificata dal premier come nipote di Hosni Mubarak: una giustificazione «degna di un film di Mel Brooks» per la quale «ci ha riso dietro tutto il mondo», disse in Cassazione il procuratore; un coimputato divenne «il Nibbio», il capo dei bravi dei Promessi sposi, «un rapace». Il comportamento di Filippo Penati, poi assolto, ebbe la qualificazione estranea ai codici di «desolante». I chiarimenti di Roberto Formigoni sono stati respinti in quanto «ridicoli» e il suo conflitto d’interessi «clamoroso e spudorato». Al cospetto di Ercole Incalza, alto dirigente del ministero delle Infrastrutture, poi prosciolto, si andava «come in una sorta di processione che evoca antichi rituali di sottomissione». Le requisitorie, le ordinanze, le sentenze traboccano di «vergogna», di «senza vergogna», di «vergogna nazionale», le inchieste prendono nomi irridenti come «operazione Banda bassotti», il capitano Schettino della Costa Concordia è un «incauto idiota», uno sfregiatore con l’acido è «un malvagio senza umana pietà», Stefania Nobile (figlia di Vanna Marchi) «si colloca nell’ultimo dei gironi del male» per «degradazione della cattiveria», per «perfidia psicologica» e anche perché lei e sua madre sono due «iettatrici». E in zona voodoo ci fermiamo.