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 2016  maggio 05 Giovedì calendario

Con Bossetti ormai siamo al pornoprocesso

Dunque, letto in integrale il carteggio erotico con la Gina, le cose stanno così. Massimo Bossetti è prima di tutto un perfetto italiano medio, che se vede un culo che gli piace lo valuta, e ama condividere il giudizio con altri maschi complici. In secondo luogo (questo lo sappiamo dai suoi interrogatori) è – anzi era – un consumatore più o meno abituale di pornografia, in compagnia della moglie, come accessorio propedeutico, corroborante del rapporto di coppia. Infine è (era) un marito sessualmente soddisfatto della propria compagna fino all’ostentazione. Come milioni di italiani, dunque, Bossetti ha un immaginario erotico. Come centinaia di migliaia di italiani, poi, ha una cura narcisistica del suo corpo, e – se puó – lo esibisce. Cosa irrilevante, direi, anche se in questo processo è diventato indizio di colpa persino l’accesso ad un solarium per lampadarsi (non si capisce se perché prova di grave narcisismo, o se – come ha cercato di dimostrare l’accusa – come alibi per essere vicino alla sua potenziale vittima). Anche se adesso pare quasi temerario dirlo, a mio parere nessuna di queste passioni è o può essere considerata un indizio di reato. Ma è evidente che se ti metti a frugare nelle mutande di un uomo, e poi lo sputtani sui giornali o in tribunale con quello che ci trovi, la percezione che il pubblico ha di lui cambia. Anche facendo solo caos, anche alzando la povere dagli angoli bui, qualcosa resta. Se non altro per ipocrisia: quello che la pm Letizia Ruggeri ha trovato nelle lettere e nelle intercettazioni di Bossetti è il dieci per cento di quello che si può sentire in qualsiasi spogliatoio dopo una partita di calcetto tra scapoli e ammogliati. Ma evidentemente alla Ruggeri questa corrispondenza deve sembrare una scoperta sensazionale, o – il che è ancora peggio – una potente arma di discredito. Bossetti scrive che ama le vagine rifilate con una sottile linea di pelo? Tendenzialmente dovrebbero essere affari suoi, ma se hai provato a dimostrare per tutto il processo che la ricerca “vagine rasate” su Google è una prova di colpevolezza, anche questa miseria ti sembra un colpo di scena investigativo. Qui a me pare che se c’è morbosità in chi scrive, ce ne sia altrettanta in chi legge. Mi chiedo cosa farebbe la pm allo scrittore Massimiliano Parente, che conduce da anni su Dagospia una battaglia culturale contro la moda della rasatura femminile, diventata tendenza persino nel mondo del porno, a prescindere da qualsiasi età delle attrici, con grande rammarico di Parente (che rimpiange i tempi cantati da Elio e le Storie Tese, del «triangolino che ci esalta»). Miserie.
Però ci sono altri due dettagli importanti da prendere in considerazione: il primo è che Massimo Bossetti è accusato di un omicidio immerso in uno scenario di pedofilia latente. E poi Bossetti è un carcerato privato della sua libertà, che sublima tutte queste fantasie in un dialogo con questa detenuta ultra 40enne che si chiama Gina: sei bagnata, sono bagnato, ho una mazza che fa paura, anche se amo mia moglie, mi sento duro quando ti penso, anche se sono innocente ti immagino morbida quando ti tocchi, eccetera eccetera. In un Paese normale queste lettere non le avremmo nemmeno lette. In un Paese anormale, e in un processo che presenta ancor più grandi distorsioni, l’uso del privato e del morboso sono diventati una strategia comunicativa del pm. Anche contro la logica, e cercherò di dimostrarlo, dopo aver seguito questo lungo filo durante il processo di Bergamo.
Provate a ragionare. Dimenticatevi per un attimo se l’immaginario di Bossetti è simile o diverso dal vostro, se vi piace o meno. Non solo non c’è relazione fra questi dettagli e l’accusa, ma casomai c’è un contrasto logico. Un pedofilo non si arrapa sia per le bimbe che per le milf. A un pedofilo le tette fanno schifo. Uno che sbavava per Yara non si interessa alla Gina. Allo stesso modo, nel rinvio a giudizio si trovavano altre morbosità investigative: un ex compagno di giochi adolescenti di Bossetti rintracciato dai carabinieri che confessava una masturbazione (a 14 anni!) condivisa con il futuro muratore di Mapello. Una ragazza – che abbiamo visto anche in tribunale – a cui Bossetti aveva venduto uno specchio su Subito.it e con cui poi aveva fatto il provolone, chiedendogli anche (un classico) se aveva una sorella bona come lei. Di nuovo, delle due l’una: se Bossetti era criptogay, non poteva essere contemporaneamente un pedofilo interessato a una ragazzina che ha l’età di suo figlio. Se era un mandrillone-provolone, non poteva essere pure rimorchiatore di siliconate.
L’accusa ha a lungo indugiato anche sulla vicenda dei presunti amanti di Marita Bossetti, è arrivata ad esibire ricevute di motel in aula. Tutto spettacolare, mediatico, pruriginoso. Ma la domanda è: 1) Bossetti sapeva di essere stato tradito? (dai suoi interrogatori risulta il contrario). 2) Se anche avesse saputo di essere tradito, si può seriamente pensare che la frustrazione per un adulterio possa diventare il presupposto emotivo di una vendetta su una minorenne? Ovviamente no, altrimenti l’Italia sarebbe un cimitero. La vicenda delle lettere a Gina, la goffa spavalderia di queste avance di carta (fra l’altro accompagnate da promesse di fedeltà a Marita) sembrano davvero un goffo tentativo di evasione dalla prigione sessuale del carcere. Mi viene in mente la frustrazione di Totó Cuffaro, quando l’ho intervistato per questo giornale, nel raccontare la sofferenza della masturbazione carceraria, che in cella diventa un rito occulto ma anche condiviso. Mi viene in mente la follia di alcuni regolamenti carcerari in cui i direttori, per un presunto principio di “tutela” del detenuto, arrivano a vietare le riviste per adulti e i prodotti a luci rosse («così non diventiamo ciechi!» ha gridato sarcastico uno di loro durante un convegno a Rebibbia).
Quindi bisogna scegliere: o Bossetti è davvero un mandrillone (e può esserlo sia con sua moglie che con la Gina, sia de facto che oniricamente) oppure è un orco pedofilo. Entrambe le cose non si danno. Con buona pace degli appassionati al nuovo fortunato filone inaugurato a Bergamo: quello del pornoprocesso.