Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 04 Mercoledì calendario

«Ho visto un centro efficiente, non sovraffollato, con una grande qualità nell’accoglienza, anche dal punto di vista umano. Ma l’Italia viene raccontata male». Parola del deputato tedesco Hans-Ulrich Pfaffmann, che è venuto in visita a Lampedusa per controllare l’efficienza sui controlli dei migranti

  Qui alla frontiera Sud d’Europa sono giorni in cui arrivano più funzionari stranieri che migranti. Vengono tutti a controllare l’Italia, la sua serietà. Dopo delegazioni francesi, danesi, inglesi e svedesi, ecco i tedeschi in visita all’hot-spot di Lampedusa. 


Sono venuti a vedere quello che succede nel primo avamposto dell’Unione europea in mezzo al Mediterraneo. E sentite cosa dice, alla fine della ricognizione, Hans-Ulrich Pfaffmann, vice presidente del gruppo parlamentare della Spd: «Sono rimasto colpito. C’è una differenza enorme fra ciò che viene raccontato dell’Italia a Bruxelles e quello che accade qui nella realtà. Ho visto un centro efficiente, non sovraffollato, con una grande qualità nell’accoglienza, anche dal punto di vista umano». Si aspettava un disastro? «Posso confermare che c’è un problema con voi. L’Italia viene raccontata male. Viene strumentalizzata da chi si serve delle catastrofi, come questa dell’immigrazione, per compiacere gli estremisti per fini elettorali. Lo ripeto, anche a costo di sembrare retorico: i veri ambasciatori dell’Europa non sono da cercare a Bruxelles, ma qui sul campo». 

Nel 2016 in Italia sono sbarcati finora 28.628 migranti, il 74 per cento uomini, il 16 per cento bambini, il 10 per cento donne. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno c’è stato un incremento del 7,8 per cento. Nigeria, Gabon e Senegal sono le tre nazionalità più rappresentate. Nessun siriano è ancora arrivato passando da qui, segno che la rotta balcanica per il momento non è stata sostituita con una rotta alternativa. Le novità sono: la prima barca partita dall’Egitto e intercettata il 25 aprile dalla guardia costiera italiana, ed i primi profughi – pochi per ora – arrivati dallo Yemen, un altro Stato in guerra. Secondo alcuni osservatori internazionali, proprio quello destinato a diventare la prossima Siria. 
Chi arriva in Italia entra nei tre hot-spot siciliani: Trapani, Pozzallo e Lampedusa. In lingua inglese vengono definiti «detention center», gli italiani usano parole meno nette. La sostanza è che non si può uscire. Salvo qualche eccezione, come vedremo. Il 95 per cento dei migranti arrivati nel 2016 in Italia sono stati identificati, così come richiede la normativa europea. Ma qualcuno si rifiuta di dare le impronte digitali: soprattutto somali ed eritrei. E rifiutandosi, continua a stare nei centri. 
Oggi a Lampedusa ci sono 381 migranti, gli ultimi sono arrivati sabato. Il mare in questi giorni è agitato, il cielo alterna squarci di sole ai colori della tempesta. Sono 23 i migranti che si rifiutano di farsi identificare. Uno di loro si chiama Kaafi K., dice di avere 16 anni, e li dimostra. È partito da solo da un villaggio a Sud di Mogadiscio, dopo aver attraversato il deserto del Sudan, si è imbarcato ad Alessandria d’Egitto: «Non voglio restare a vivere in Italia. Questo è il problema. Ho una zia a Stoccolma e devo raggiungerla. Ecco perché non voglio dare le mie impronte digitali. Ogni giorno i poliziotti tornano a chiedermi la stessa cosa, ma io non cedo». Ed ecco perché Kaafi resta nell’hot-spot di Lampedusa. Ogni tanto scavalca le reti, come fanno in molti, più che altro per cercare una connessione e parlare con i parenti. Oppure giocare a pallone, nella partita che va in scena alle sette di sera davanti alle barche ormeggiate in porto. «Ci lasciano scavalcare perché sanno che torniamo». O forse, perché è chiaro che da Lampedusa è difficile scappare. 
Il sindaco Giusi Nicolini conosce ogni pietra, ogni faccia, ogni storia dell’isola. E di quello che sta accadendo, dice: «Sono soddisfatta delle visite istituzionali. Tutti se ne vanno con un’idea molto diversa da quella con cui erano arrivati. A Lampedusa non c’è più il caos del 2011, ma non posso comunque essere felice». È una questione politica, ed anche algebrica, a suo giudizio: «Stanno arrivando quelli che vengono definiti migranti economici. Quasi tutti non avranno diritto d’asilo. C’è la volontà di respingerli, non di ricollocarli e proteggerli. Il risultato è questo: avremo migliaia di ragazzi buttati per strada. Perché nessuno potrà effettivamente rimandarli indietro, senza accordi con i Paesi d’origine, E intanto il resto d’Europa non fa nulla sul piano dei ricollocanti. Una gigantesca presa in giro». 
Solo 1441 in totale, 565 dall’Italia, su 39 mila promessi in due anni. Poi, dietro ad ogni numero, c’è una persona. Ieri all’ospedale di Lampedusa si sono presentate due ragazze nigeriane: hanno chiesto di poter abortire. In Libia sono state violentate e torturate. Ma a qualcuno interessa la loro storia?