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 2016  maggio 04 Mercoledì calendario

Ranieri insegna che la vecchiaia è il tempo per le sfide difficili

Alla fine la lezione di Claudio Ranieri è questa. Dipende da noi. Dalla voglia di farcela. Dalla capacità di non arrendersi. Da giovani e da vecchi. Soprattutto da vecchi. L’età non c’entra. L’eta è solo un numero. Ogni età ha qualcosa di bello da offrire se si accetta per quello che è. E il bello di un trionfo a 64 anni quando sei considerato un vecchio arnese, un vecchio del mestiere o peggio (Mourinho docet) vecchio e perdente, è sorridere al mondo con la felicità di un ragazzino e dire che i sogni esistono e si possono realizzare anche quando vengono quotati 5.000 a 1.
Tutti gli uomini che hanno fatto accadere qualcosa nella storia hanno ignorato i limiti temporali, scrive Desmond Morris in un celebre saggio dedicato alle età, ma nelle parole dell’italianissimo allenatore del Leicester, in quel suo semplice «vincere da vecchi è indimenticabile» oggi c’è un messaggio universale che passa attraverso il gioco del calcio e la metafora della panchina: possiamo farcela se facciamo squadra, possiamo vincere se abbiamo anima e cuore.
Claudio Ranieri, il giovane vecchio sor Claudio del Testaccio destinato a diventare sir, ha dato un calcio alla montagna di luoghi comuni legati all’anagrafe seppellendo in una sera anche una parola odiosa che per tanti suona offensiva: rottamazione. Si è riscattato e ha riscattato quell’esercito di persone messe in panchina dalla vita, ma ancora cariche di sogni e ideali che spesso non trovano riscontro. Quelli che, scriverebbe Beppe Viola, sono bollati come rimbambiti, suonati, imbranati. Gli stessi che Martin Amis, in un non memorabile articolo sul Times, voleva mandare nei pub per l’eutanasia: entrano, bevono un Martini e passano a miglior vita.
Evviva i vecchietti come Ranieri, adesso. Che inseguono i sogni e diventano una favola bella, come quella dell’allenatore non vincente diventato vincente quando nessuno se l’aspettava. E siccome i sogni si scontrano sempre con la realtà, per fare in modo che si esaudiscano, prendiamo esempio da lui. Bisogna sempre sapersi rimettere in gioco e lottare: per noi stessi, per gli altri, per una meta.
Non si vince una Premier League per caso. Come non si saliva per diporto, un tempo, sulla nave dell’ammiraglio Nelson, la Victory. Bisognava essere preparati, attenti, vigili in ogni momento, sempre pronti a dar battaglia. Dietro una sfida perduta non ci sono obiettivi troppo alti, spesso ci sono motivazioni troppo piccole. Ranieri, come Nelson, nel mare tempestoso del calcio inglese, ha battuto avversari più grandi e più forti di lui, motivando la sua squadra, i suoi ragazzi. Con coraggio ma anche con una certa paura. La paura di non farcela. La paura di inciampare prima del traguardo. La paura di ripetere antiche esperienze, Napoli, la Fiorentina, la Roma, la Juve, l’Inter...
Una paura che non è rinuncia, ma un sentimento che ci rende più umani. Per questo Ranieri piace. Per il suo essere diverso da quel robot di Mourinho. Per non avere mai indossato la corazza del supereroe. Per assomigliare più ad Ettore che ad Achille. E avere ribaltato la storia.
Si racconterà per mesi e per anni la sua favola bella e quella del Leicester. Perché dietro il bel calcio, dietro i gol di Vardy, dietro l’incredibile tenuta della squadra, l’impresa dell’allenatore italiano nel calcio inglese ha portato anche un’ondata di ottimismo nel mondo. Se si vuole, si può fare, è riassunto nel titolo del Mirror, «The incredible». Non è mai troppo tardi, aggiungiamo noi. La vecchiaia, quella che scatta con la cosiddetta età della pensione, va considerata un errore burocratico. Montanelli aveva sessant’anni quando abbandonò un giornale per fondarne un altro con questo nome. Lasciò il Corriere della Sera per un’avventura con tanti rischi e poche certezze. Ma riuscì nell’intento, e tornò nella sua casa di via Solferino a più di ottant’anni. Ancora oggi rimpianto.
«La soglia della vecchiaia è soltanto la soglia di una nuova avventura», ha scritto Arrigo Levi. Siamo circondati da giovani vecchi con talento ed entusiasmo da vendere. Umberto Veronesi, è uno: all’età di Ranieri, ha lasciato un ospedale e ne ha costruito un altro. Coraggio dell’incoscienza? No. Semplicemente la voglia di mettersi alla prova, di affrontare una nuova sfida, di lottare per un sogno e per un ideale. Lo stesso di Margherita Hack, che a novant’anni ripeteva a chi l’andava a trovare. «Ragazzi, diamoci da fare. C’è da scoprire che cos’è l’energia oscura...».
Non si diventa vecchi per default. Claudio Ranieri ha ancora molto da insegnare al calcio, ai giovani, ai suoi coetanei. Con l’impresa del Leicester, involontariamente, ha realizzato quel che Italo Calvino sosteneva nelle sue Lezioni americane. A una certa età, affermava lo scrittore, si deve puntare solo sulle cose difficili, quelle che richiedono sforzo e che bisogna eseguire alla perfezione, diffidando della faciloneria, del fare tanto per fare.
È così che si costruisce una vecchiaia felice. Senza rinunce, pronti a nuove sfide. Qualche volta, capita anche di vincere.