il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2016
Nella casa di Giulio Regeni al Cairo hanno ancora paura. Un bel reportage
Il tavolo del salottino è sporco, un dito di polvere sopra, la casa in disordine. Pochi secondi prima abbiamo suonato il campanello dell’interno 6, terzo piano. In precedenza il silenzio totale lungo il vano scale. Al piano superiore, l’ultimo, vive un gruppo di studenti, europei anch’essi. Dietro la porta una ragazza olandese: “Sono arrivata la settimana successiva alla sparizione di quel ragazzo; ricordo solo che l’inquilino più anziano mi ha detto ‘devi sapere cosa è successo qui sotto’, poi ho capito”. Scendiamo al piano inferiore, quello giusto. Tre porte, nessuna replica al trillo sconnesso dei campanelli. Alla fine si apre quella giusta. Ci apre una ragazza mediorientale, conferma che è la casa dove Giulio Regeni ha vissuto e che ha frequentato fino alle 19 e 45 del 25 gennaio scorso. In fondo al vano principale si apre una porta, è la ragazza tedesca che per mesi ha diviso l’appartamento con Giulio. È terrorizzata, chiude in fretta la porta per socchiuderla un minuto dopo, nella speranza che non ci sia più nessuno in casa. Arriva l’inquilino/affittuario, Mohamad el-Sayad: “Non abbiamo nulla da dire, ci porti rispetto”. È nervoso più che ostile, agitato; con un sorriso amaro chiede di uscire e di lasciarli in pace. L’unica cosa certa, è che la stanza di Giulio Regeni è stata affittata; una ragazza al suo posto. La vita va avanti. E la loro resterà segnata da quanto capitato al ricercatore universitario di Fiumicello. Oggi, nel giorno i cui si celebra la giornata della libertà di stampa, sono passati 3 mesi dal ritrovamento del cadavere su un terrapieno ai margini d e l l’autostrada per Alessandria d’Egitto. A due passi da un importante quartier generale militare.
Siamo in via Yanbo, quartiere Dokki. Giulio Regeni viveva qui. Prima periferia ovest del Cairo, a due passi da boulevard Tahrir che, dopo aver solcato il Nilo attraverso il Ponte dei Leoni, finisce nel cuore della rivoluzione egiziana del 2011, piazza Tahrir appunto. Una zona tranquilla, palazzi più ordinati della media, alberi ad alto fusto per proteggere dai 35° e dal sole che picchia, cumuli di immondizia. Il palazzo al civico 8 ha un pianerottolo esterno, ombreggiato da rampicanti, un ampio vano interno, delle strette scale. Alcuni residenti, che vivono nell’appartamento al pian terreno, discutono bevendo tè. Sul retro, parenti senza intonaco e i resti di un cantiere. Proprio durante la scomparsa di Regeni, quel cantiere era attivo, ora restano i segni di una discarica.
C’è silenzio. Gli abitanti di Cairo hanno iniziato un weekend lungo, tra il 1° maggio e lo Sham el-Nessim, la Pasqua ortodossa che viene osservata da tutti gli egiziani. In strada qualche passante, bambini giocano a calcio. Ci sono due negozi aperti, uno è una farmacia: “Conosco bene cosa è accaduto al vostro connazionale – racconta il titolare – una tragedia per tutti, ci porterà molti guai. Giulio lo vedevo passare spesso, ma è entrato solo una volta qui in negozio, doveva cambiare 50 lire egiziane. Sorrideva, era gentile”.
Giulio la sera del 25 gennaio doveva arrivare a Tahrir, con la metro. La fermata Sadat era chiusa, si celebrava l’anniversario della rivoluzione. C’era tensione, la polizia aveva blindato il centro. Così, Giulio era stato costretto a scendere alla fermata successiva, El Naguib, per tornare poi a Tahrir dove, secondo le indagini, ad attenderlo doveva esserci Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti. Il tabulato del telefonino di Giulio, mai ritrovato, racconta il suo percorso. Servirebbero le registrazioni delle celle telefoniche e delle telecamere di sicurezza, ma il governo al-Sisi non ci sente da quell’orecchio. Questione di sicurezza nazionale, inoltre andrebbe contro la Costituzione egiziana.
Abbiamo ripercorso l’ultimo quarto d’ora di libertà di Giulio Regeni che quella sera di fine gennaio non immaginava certo di finire nelle mani dei reparti di sicurezza. Il 28enne ha impiegato circa 3 minuti da casa alla fermata el-Bahoos della metro. Considerando un’attesa tra 2-4 minuti, Giulio è salito sul convoglio attorno alle 20. Il viaggio in metro (nel vagone riservato agli uomini; le donne, se non accompagnate dal marito, viaggiano in un altro) è durato circa 8 minuti. Quindi la salita delle due rampe della stazione El-Naguib e l’uscita su Mohamed Farid. Il percorso lo raccontano i fatti raccolti dagli investigatori, egiziani e italiani, a meno che il telefonino non abbia registrato un percorso indotto, nelle mani di altri.
Il pensiero che il telefonino di Giulio abbia seguito un falso percorso per confondere le idee non è campato in aria. Impossibile che nessuno quella sera abbia notato nulla. Mohamed Farid, a due passi da Taalat Harb, è molto frequentata giorno e notte. Sta di fatto che il suo corpo è stato ritrovato la mattina, poco dopo le 10, di 8 giorni dopo, il 3 febbraio, a 20 chilometri dal centro del Cairo: “Non si sono neppure sforzati troppo,
neppure la fatica di liberarsi del corpo in una zona meno suscettibile di sospetti”, dice Mohamed Lotfy, numero due della Commissione per i Diritti e la Libertà, ong che ha seguito la vicenda di Giulio per conto della famiglia Regeni con consulenze legali.
Il numero uno, Ahmed Abdallah, il 25 aprile è stato arrestato dalla polizia in piena notte a casa sua, accusato di terrorismo. Rischia una condanna durissima, sabato si conoscerà la sua sorte. Lotfy potrebbe essere il prossimo, ma non ha paura: “Ormai è tutto chiaro. I servizi lo hanno presso all’uscita della metro e portato alla stazione di polizia di Izbakeya, quindi al Ministero dell’Interno e della Sicurezza nazionale. Infine le torture in una caserma di Giza e l’abbandono del corpo a due passi da un campo delle forze di sicurezza. Qualcuno lo ha venduto perché scriveva del regime, gli hanno clonato il telefono per seguirne meglio gli spostamenti, i contatti. Credo i servizi abbiano collegato Regeni a qualche gruppo sospetto, magari lo immaginavano vicino ai Fratelli Musulmani. Giulio non era pericoloso. Purtroppo oltre a lui ci sono altri due casi di egiziani rapiti e trovati morti. La scelta del ritrovamento del corpo, il 3 gennaio, durante la visita della vostra delegazione (a capo l’ex ministro Guidi, ndr), non è un caso”.