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 2016  maggio 03 Martedì calendario

Dopo il danno per i piccoli soci della Popolare di Vicenza anche la beffa

Ormai ci avranno fatto il callo, ma i 120mila piccoli azionisti della Popolare di Vicenza oltre al danno di avere già perso quasi tutti i soldi, assaggiano ora anche la beffa della mancata quotazione in Borsa.
Fuori da Piazza Affari non c’è, per i piccoli soci storici della Popolare vicentina, la possibilità di vendere agevolmente le azioni seppur iper-svalutate. Fuori da Piazza Affari non c’è per loro neppure la speranza che prima o poi qualche concorrente interessato lanci un’Opa. Fuori da Piazza Affari, insomma, i “vecchi” soci potrebbero avere meno patemi d’animo ma anche meno tutele. Se la mancata quotazione può far piacere al fondo Atlante, e forse agli altri investitori istituzionali che erano pronti a comprare azioni, i piccoli soci rischiano di essere i potenziali sconfitti.
È vero che, grazie all’intervento provvidenziale del fondo Atlante, è stato evitato lo scenario peggiore: se la Banca Popolare di Vicenza non avesse concluso l’aumento di capitale (e senza Atlante non l’avrebbe chiuso di certo), oggi l’istituto sarebbe probabilmente in bail-in con conseguenze disastrose per i risparmiatori, per il Veneto e per l’intera Italia. Ma è anche vero che la mancata quotazione in Borsa dell’istituto vicentino, sebbene sia il minore dei mali, produce comunque delle conseguenze. A partire dai piccoli risparmiatori.
Piccoli soci, grandi dolori
La storia dei “vecchi” azionisti della Popolare di Vicenza è nota. Molti di loro – sono le cronache giudiziarie a raccontarlo – hanno comprato negli anni passati azioni della banca perché altrimenti non avrebbero avuto i finanziamenti che cercavano. Fino a un anno fa (aprile 2015) le loro azioni valevano 62,5 euro. Poi, quando sono iniziate le prime rettifiche di valore, per loro è diventato impossibile rivenderle: dato che la banca non era quotata in Borsa, non esisteva infatti un mercato liquido su cui scaricare azioni che ormai scottavano. I risparmiatori sono dunque quasi tutti rimasti “intrappolati” in questo investimento. Ora che le azioni valgono appena 10 centesimi, per loro la perdita è quasi totale.
La domanda è: se la Popolare di Vicenza fosse approdata nei prossimi giorni sul listino di Piazza Affari, per loro sarebbe stato meglio o peggio? Ovviamente nessuno può sapere come si sarebbero comportate quelle azioni in Borsa. Secondo alcuni osservatori, dato che il flottante sarebbe stato ridottissimo, probabilmente il titolo avrebbe avuto oscillazioni violente e con volumi irrisori: in questo senso – pensano alcuni – forse per i risparmiatori è stato meglio che la banca sia rimasta fuori da Piazza Affari. C’è chi invece ritiene che il titolo avrebbe, poco a poco, potuto apprezzarsi. Ma dato che queste sono solo ipotesi, non resta che capire le conseguenze pratiche per i risparmiatori.
La prima è che i 120mila che hanno le azioni della Popolare di Vicenza ancora una volta non avranno un vero mercato per rivenderle. La seconda conseguenza è che i 6mila risparmiatori (di quei 120mila) che avevano deciso di esercitare il loro diritto di prelazione e di acquistare nuove azioni in questo aumento di capitale, non possono più farlo: dato che la quotazione è decaduta, è venuta meno l’intera offerta di azioni. Così questi risparmiatori, che speravano con le nuove azioni di abbassare il valore di carico e di recuperare in prospettiva qualcosa, vengono privati anche di questo diritto. Infine c’è una terza conseguenza: dato che la Popolare di Vicenza resta fuori dalla Borsa, non è sottoposta alla normativa dell’Opa. Morale: se un giorno qualcuno volesse rilevare la banca (qualora fosse risanata), potrebbe accordarsi con Atlante e non dare nulla ai piccoli azionisti. Potrebbe lanciare un’Opa volontariamente, certo, ma non avrebbe alcun obbligo. Questi sono tutti diritti dei piccoli risparmiatori che sono venuti meno con la mancata quotazione in Borsa. Certo, nulla vieta ad Atlante di portare la banca a Piazza Affari in futuro. Ma questa è una storia ancora da scrivere.
I grandi investitori
Per i grandi soci che già avevano azioni della Popolare di Vicenza, il discorso è analogo: anche loro vengono privati dei diritti degli azionisti di minoranza delle società quotate. Per i grandi (primo fra tutti Mediobanca) che invece si erano candidati a comprare azioni della banca questa volta, la mancata quotazione è forse una liberazione: dato che la banca non va più in Borsa, loro non possono più rilevare le azioni. Anche Mediobanca, che avrebbe comprato il 5% della Popolare di Vicenza, torna a casa a mani vuote.
C’è infine il fondo Atlante, che ora diventa azionista con il 99,33% della banca vicentina. Per questo fondo la mancata quotazione significa, nell’immediato, spendere 120 milioni di euro in più per rilevare le azioni che avrebbero comprato gli altri (pochi) investitori: questo significa che il già esiguo patrimonio di Atlante (4,2 miliardi), che in prospettiva servirà anche per rilevare crediti in sofferenza dalle banche, si assottiglia leggermente. Ma per il fondo di sistema la mancata quotazione, a parte questo minimo inconveniente, potrebbe essere in realtà qualcosa di positivo. Atlante avrà infatti tutto il tempo per risanare la banca, senza la pressione della Borsa. E, quando vorrà rivenderla o quotarla sul listino, potrà farlo senza subire le scorribande della speculazione che rende tutto più difficile.