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 2016  maggio 03 Martedì calendario

L’eterno ritorno di Chicco Testa

Vero che a volte il potere, nella sua irridente incertezza, è crudele con tutti e con ciascuno. Eppure, a tutt’oggi sembra quasi impossibile che Chicco Testa diventi ministro (dello Sviluppo economico). Tale incredulità trova tuttora le sue ragioni in diverse, anzi molteplici variabili: dai dubbi sui superstiti orizzonti della rottamazione ai potenziali conflitti d’interesse del candidato, fino all’imminente stagione estiva, irresistibilmente foriera di magnifici party, alcuni addirittura e convenientemente sponsorizzati.
E se negli ultimi anni il giornalismo, almeno in questo coerente con l’evoluzione della vita pubblica, non è più in condizione di trascurare dicerie e pettegolezzi, beh, anche a costo di innalzare la triste bandiera rosicona tanto vale dire subito che il nomignolo con cui l’aspirante ministro ha dovuto a lungo fare i conti era quello, del tutto assonante, di «Chicco Festa». Soprannome contro il quale legittimamente l’ex presidente dell’Enel e dell’Acea si è ribellato reputandolo «offensivo», comunque tale da dipingere il suo destinatario «come uno che mette al primo posto il divertimento». Quindi i piaceri, la buona tavola, l’allegra compagnia, le ore piccole.
Ma qualcosa in realtà doveva essere davvero cambiato in lui, nell’era Renzi. Qualcosa che arricchiva l’era ambientalista primigenia, e poi l’era trasgressiva (fotoromanzo sul giornale delle lucciole), ma pur sempre comunista; e dopo l’era rutelliana, l’era capalbiana (dopo un’infinità di «Cafonal» culminata in una foto in cui lo si vide ritto in groppa al suo bianco cavallo, a nome «Doge»), quindi l’era sabaudina (con racconti di turbinosi amori) e infine anche l’era del comando neo energetico e nuclearista, quest’ultima culminata in una sorta di misterioso selfie «davanti al sarcofago» – così l’auto-didascalia contenente «i resti del reattore n.4 della centrale di Chernobyl».
O almeno. Per quanto restii ai controlli di coerenza, ai collezionisti di immagini e ritaglini non era sfuggita una piccola, ma significativa lettera che Chicco Testa aveva scritto al Foglio appena due mesi dopo la presa renziana di Palazzo Chigi e che purtroppo non si può riportare nella sua interezza, pur essendo un rimarchevole documento di questo tempo un po’ così.
E comunque: «Conosco Matteo Renzi da quando non era sindaco di Firenze – era l’esordio – e pur essendo molto più vecchio di lui possiamo dire che c’è una certa amicizia». Bene, in nome di questa Chicco Testa rivelava un costante, sintomatico invio di suoi sms al premier in ore antelucane; non solo, ma si faceva testimone e garante che la risposta di Renzi «arrivava dopo un minuto», pure notificando alla pubblica opinione di essersi segnato le ore: 5,15; 6,01; 5,49...
Ora, a veder bene, la meticolosa rivelazione contabile lasciava immaginare un insolito, ma impetuoso desiderio di impegno. Uno slancio di servizio e di protagonismo che tuttavia, con necessario arbitrio, è possibile collocare tra il nuovo che avanza e l’eterno ritorno, l’usato sicuro e la capriola con avvitamento.
Per il resto, Chicco Testa è assai meno antipatico della sua indubbia voglia di esserci, farsi notare e possibilmente ammirare. Né la mondanità può essere rinfacciata come antidoto al governo. Solo, sembrava destinato a un’altra carriera. Non molto tempo fa, al teatro Parioli, aveva recitato Churchill. Nel cast con lui l’onorevole Dambruoso, Myrta Merlino e Francesca Chaouqui.